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Istituto Nazionale dei Tumori, Milano - Arte in Repartro
Still Alive
23 artisti raccontano 33 storie di malattia

Il progetto
Questo progetto nasce dall'idea di raccontare storie di pazienti che hanno vissuto e vinto la lotta contro il cancro, che ora sono tornati ad una vita normale, e che testimoniano che non sempre questa malattia è sinonimo di morte.
Con questa opera si vuole dare un messaggio positivo ed una speranza in più ai malati e ai loro familiari, ma anche un "ritratto" più veritiero sulle prognosi e sul destino di chi si trova a percorrere questa esperienza drammatica.
Il progetto si basa su due linee parallele: una che riguarda la medicina nel suo specifico, l'altra gli artisti che con la loro creatività e capacità espressiva esaltano e nobilitano ancor più l'iniziativa.
Si è quindi pensato di far intervenire una rosa di artisti che usano la fotografia come principale strumento espressivo, scelti per la loro riconosciuta qualità professionale, che sintetizzassero in un'immagine la vita dei pazienti dopo la malattia.
Ad ogni fotografo è stato abbinato un ex-malato, perché divenisse il soggetto della sua opera. La scelta ha tenuto conto dell'appartenenza geografica del paziente e dell'artista, per ridurre quanto più possibile i problemi logistici ed i costi. Gli artisti potevano affrontare il tema del ritratto fotografico nella più assoluta libertà creativa, utilizzando ogni strumento inerente alla fotografia al fine di dare un volto e un'identità alla persona e alla sua storia di vita.
L'idea del progetto è nata dall'esperienza clinica del direttore della chirurgia toracica dell'Istituto Nazionale Tumori di Milano, Ugo Pastorino, condivisa da un artista, Giuseppe Maraniello, che ha curato il progetto artistico del nuovo Hospice dell'Istituto, finanziato dalla Fondazione Floriani.
Le foto e le storie sono state raccolte nel volume "Still Alive", edito da Skira, pubblicizzato e messo in vendita con lo scopo di raccogliere fondi per la ricerca, o per migliorare la qualità della vita dei pazienti anche dal punto di vista spirituale.
Gli originali, stampati in grandi dimensioni, sono stati oggetto di una mostra alla Fondazione Pomodoro di Milano e poi esposti in modo permanente all'interno del reparto di Chirurgia Toracica dell'Istituto Nazionale dei Tumori.
Introduzione
Sono passati più di vent'anni da quando percorrevo in fretta i corridoi della cardiochirurgia di Bergamo, spesso di notte perché i trapianti si facevano a quell'ora. Ma non posso scordare le grandi foto con i volti sorridenti di bambini e neonati, che popolavano quelle pareti, nel silenzio assoluto dell'ospedale. Parenzan, uno dei padri della cardiochirurgia infantile in Italia, aveva voluto che le foto dei suoi piccoli pazienti animassero il reparto, come testimonianza presente e continua della vita dopo la malattia. Il sogno di realizzare qualcosa di simile all'Istituto Tumori non mi ha mai abbandonato, ma raccontare le storie di pazienti gravemente malati di cancro, senza retorica o false rassicurazioni è molto più difficile, perché il percorso non si esaurisce quasi mai in un intervento chirurgico, per quanto tecnicamente complesso possa essere, e la malattia può ripresentarsi come un incubo anche dopo molti anni.
L'occasione è venuta grazie all'incontro con Giuseppe Maraniello, un artista profondamente legato all'Istituto, e che aveva già offerto la sua opera nella realizzazione del nuovo Hospice. A lui sarebbe spettata la scelta degli artisti, a me quella dei pazienti. Ho cercato storie molto diverse tra loro per età, condizione socio-culturale e tipo di tumore, ma che fossero nel loro insieme emblematiche della complessità del problema cancro. Tra questi pazienti c'è un denominatore comune: tutti hanno ricevuto in una qualche fase della loro malattia la notizia di non poter guarire. In altre parole, tutti hanno vissuto l'esperienza di una morte annunciata, a breve o medio termine. Quasi sempre, la diagnosi risale a molti anni prima, perchè il tempo è l'unica misura affidabile della loro guarigione, ma anche una rappresentazione concreta della vita ritrovata.
Ho cercato di mostrare come la lotta contro il cancro non è quasi mai una rapida battaglia, ma una guerra lunga e a volte estenuante, che noi medici non possiamo condurre in modo efficace senza la partecipazione attiva dei pazienti. Da entrambe le parti, speranze e frustrazioni, delusione e stanchezza si alternano continuamente, senza che sia mai certo il risultato finale dello sforzo comune. Non si può farcela senza profonda conoscenza, determinazione, coraggio e fantasia, ma a volte tutto questo sembra inutile, e lo sconforto può prendere il sopravvento. Con questa opera, vorremmo dare un messaggio positivo ed una speranza in più ai malati e ai loro familiari, ma anche un "ritratto" più veritiero sulla prognosi e sul destino di chi si trova a percorrere questa esperienza drammatica.
Sono personalmente convinto che l'arte possa rappresentare una sorta di medicina dell'anima, e ho sperimentato personalmente che un rapporto diretto con la creatività e capacità espressiva dell'opera artistica aiuti a superare i momenti difficili della vita di tutti, medici compresi. Spero che possiamo verificare nei fatti questa ipotesi, animando il reparto con le immagini di artisti molto diversi fra loro, che interpretano storie di pazienti altrettanto diversi. Sono grato a tutti i protagonisti di questa avventura: malati, artisti e operatori della salute, che hanno dimostrato una carica umana ed un entusiasmo superiori ad ogni ragionevole aspettativa.
Ugo Pastorino

“Come un giorno ben speso dà lieto dormire, una vita ben spesa dà lieto morire”. Se Leonardo da Vinci poteva prendere congedo dalla propria esistenza con un tale pensiero e un'istanza morale di matrice stoica, l'epoca contemporanea e i suoi artisti rivolgono alla morte uno sguardo forse meno sereno, ma, confortati anche dalle nuove possibilità tecnico-scientifiche, con inedite aspettative. Gino De Dominicis, un artista che lavorava proprio sull’idea dell’immortalità, auspicava che il mondo intero potesse fermarsi e impiegare le proprie migliori energie per vincere la morte.
Forse tutta l'arte, al pari della filosofia e della religione, si offre sotto il segno del mistero della morte e della condizione umana al suo cospetto. Dalla monumentalità antica a Caravaggio, da Brueghel a Damien Hirst non c'è momento della storia dell'arte in cui il senso della vita non sia stato affrontato a partire dal suo epilogo o in vista di un superamento di questo.
In tale prospettiva l'arte ha spesso camminato a fianco della medicina, diventando a volte essa stessa “cura”, come dimostrano le esperienze sempre più diffuse di “arte terapia”. Quando Ugo Pastorino, primario di chirurgia toracica presso l’Istituto dei tumori di Milano, mi ha esposto un suo progetto che prevedeva il coinvolgimento di artisti, ho accettato con entusiasmo. A trentatré casi clinici da lui risolti si sono abbinati ventitré “artisti–fotografi” che hanno conosciuto gli ex pazienti, ne hanno appreso le vicende e “scrutato l'animo”. In alcuni casi sono nate amicizie e, grazie alla disponibilità di ciascuno, è avvenuto che da tutti gli incontri si originassero altrettante opere fotografiche. Notissimi autori e giovani meno conosciuti, tutti di grande talento, hanno dato un apporto fondamentale alla realizzazione di questa impresa con professionalità e creatività. A loro va la mia gratitudine, anche per la fiducia accordatami, ma, soprattutto, per avere affrontato con generosità tale compito confortandoci sul valore dell'iniziativa con il loro esempio. Gli scatti realizzati dagli artisti si possono ammirare nel volume nell'uniformante formato necessario alla stampa. Gli originali delle opere sono, però, di differenti dimensioni e tecniche e saranno esposti in occasione delle presentazioni del volume in vari contesti, sia artistici che medici. Come è naturale, eterogenei sono stati i punti di vista degli autori. Alcuni hanno adottato un criterio narrativo, cogliendo con grande sensibilità significativi momenti del quotidiano dei soggetti ritratti ed evidenziando il loro ritorno alla felice consuetudine dell'ordinario. Altri hanno adottato un linguaggio più metaforico, con un notevole equilibrio tra valore intrinseco dell'immagine e suo portato concettuale. Altri ancora si sono affidati alla sapienza dei loro scatti per condensare in una precisa e magica iconografia quel che solo l’arte può offrire senza l'ausilio o la mediazione di altre esperienze culturali.
Giuseppe Maraniello
Gli artisti
Aurelio Amendola, nasce a Pistoia. Nel 1994 il suo volume Un occhio su Michelangelo vince il “Premio Oscar Goldoni”. Nel 1997 gli viene conferito il premio alla carriera “Cino da Pistoia”. È anche autore di numerose monografie dedicate ai maggiori scultori e pittori contemporanei, tra cui Marino Marini, Burri, Manzù, Fabbri, Ceroli, Vangi, Kounellis. Nel 2007 e’stato il primo artista a esporre una mostra fotografica su Michelangelo al Museo Hermitage di San Pietroburgo. Nel 2008 pubblica Wonderful Michelangelo, La Dotta Mano; nel 2009 esce il volume Monumenta.

Gianni Berengo Gardin (www.contrasto.it) collabora con le principali testate della stampa illustrata italiana ed estera; ha realizzato oltre 200 volumi fotografici e ha tenuto circa 250 mostre personali in Italia e all’estero. Le sue immagini fanno parte delle collezioni di musei e fondazioni culturali internazionali, quali il MoMA di New York, la Bibliothèque Nationale de France e la Maison Européenne de la Photographie di Parigi, il Musée de l’Elysée di Losanna. Tra i premi ricevuti si segnalano: World Press Photo (1963), Premio Scanno (1981), Premio Brassai (1990), Leica Oskar Barnack Award (1995) e Lucie Award alla Carriera (NY, 2008). Nel 2009 gli è stata conferita la laurea Honoris Causa dall’Università degli Studi di Milano.

Simone Bergantini nasce nel 1977 a Velletri. Dal 2005 sue foto vengono esposte in mostre collettive e nelle principali fiere del mercato dell’arte in Italia. Nel 2010 vince il Foam Talent Calling e il Terna Prize, che gli vale una borsa di studio presso l’International Studio & Curatorial Program (ISCP) di New York, e inaugura la sua prima mostra personale “Black Eyes Explosion” presso la Jarach Gallery di Venezia.

Antonio Biasiucci (www.antoniobiasiucci.it) nasce vicino a Caserta nel 1961. Nel 1987 conosce Antonio Neiwiller, attore e regista di teatro, con il quale collabora fino al 1993. Molte sue opere fanno parte della collezione permanente di musei e istituzioni italiani ed esteri. Ha tenuto svariate mostre personali in Italia e all’estero ed ha ricevuto importanti riconoscimenti, gli ultimi per il volume Res: Lo stato delle cose (2004): il Kraszna-Krausz Photography Book Award (Londra, 2005) e il Premio Bastianelli (Roma, 2005).

Fulvio Bortolozzo (www.bortolozzo.net) nasce nel 1957 a Torino, dove vive e lavora. A partire dagli anni '80 espone i propri lavori fotografici in varie mostre collettive e personali. La serie Olimpia riceve il Premio Fotosintesi (2005). Nel 2006 sue opere vengono selezionate per “Suoni e Visioni”, mostra internazionale dedicata agli ultimi cinquant'anni di fotografia italiana. Nel 2009 la serie Scene di passaggio (Soap Opera) viene selezionata per il “Progetto Jpeggy”. Tra le sue pubblicazioni: Nel Paradiso del Re (1989); Dentro il giardino (1997); Frossasco, vedute con figure (2004). Da vari anni è docente di Fotografia del Territorio all'Istituto Europeo di Design di Torino (IED).

Enrico Cattaneo nasce a Milano nel 1933. Passato al professionismo nel 1963, è attratto dalla scultura e diviene amico di artisti come Alik Cavaliere, Mauro Staccioli, Francesco Somaini che ne stimano il lavoro e si affidano a lui per la documentazione delle loro opere. E’ testimone attivo degli avvenimenti artistici del tempo, come Fluxus e Nouveau Réalisme, esposti a partire dai primi anni Settanta in gallerie e pubblicate in volumi. Le sue ricerche personali si rivolgono in particolare alla composizione di still life e agli objects trouvés. Nascono così lavori come “La rivolta degli oggetti”, “Guerrieri”, “Maschere”, “Pagine”. Fra le opere più recenti vanno ricordati gli still life e i lavori “In regress” e “Paesaggi”.

Enzo Cei (www.enzocei.com) nasce nel 1949 vicino a Pisa. Autodidatta, dagli anni Settanta fotografa e stampa in bianco nero. Col digitale, oggi trova il naturale innesto per potenziare le espressività del bianco nero fedelmente alla sua tradizione. Ha pubblicato dieci volumi monografici. L’ultimo è Trapianti (Federico Motta Editore, 2009), frutto di tre anni di lavoro, che affronta tutti gli aspetti connessi alla donazione e al trapianto degli organi. Tra i progetti in esecuzione Nato prematuro, cortometraggio sulla condizione dei bambini nati prematuramente, che ha ottenuto un finanziamento dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

Ferdinando Cioffi vive e lavora tra Londra, Milano e Parigi. Agli esordi della sua carriera frequenta gli studi di Irving Penn e Richard Avedon, dove lavora come assistente. In America inizia a riscuotere i primi successi; al suo ritorno firma copertine per riviste quali Class, Weekend, Business. Dal 1995 data il suo prolifico sodalizio con la rivista Arte. Nel 2007 pubblica il volume Portraits (Edizioni d’Arte Guelfi) e lo Spazio Forma di Milano gli dedica la mostra “Ferdinando Cioffi, un fotografo luminista”. Nel 2008 inaugura la mostra “Tratti e Ritratti. Appunti visivi di un maestro della fotografia italiana” presso “Brolo” Centro d’Arte e Cultura di Mogliano Veneto, Treviso. E’ in progetto un secondo volume di Portraits.

Bruno Del Monaco nasce a Napoli nel 1949. Nel suo studio d’arte di Bari, dal 1976 al 1997, presenta 45 eventi d’arte e teatro, con artisti italiani e stranieri d’avanguardia. Collabora intensamente con Enti ed Istituti culturali, progetta, allestisce e cura mostre e rassegne d’arte e fotografia in Italia e Grecia, pubblica monografie d’arte e architettura, manifesti per Gallerie e Musei, immagini simboliche o reportage completi, ed elabora immagini e testi per documentari e programmi culturali, campagne pubblicitarie nazionali e spot televisivi. Scrive saggi di filosofia della fotografia e critica d’arte. Dal 1973 tiene conferenze, seminari, workshop, corsi di fotografia d’arte. Ha allestito 70 mostre personali e ha partecipato a 150 rassegne d’arte, architettura e fotografia dal 1971.

Alessia De Montis nasce a Livorno nel 1976 e lavora tra Milano, Bologna e Roma. Fin da piccola attratta dal mondo della fotografia e dei video, realizza le sue prime mostre personali sul Vietnam in una galleria di Bologna nel 2000 e nel 2002. Il suo lavoro si concentra sull’universo femminile, sullo sviluppo della donna da lei definita “strega”, da adolescente a magica dispensatrice di vita, e ultimamente sulla controparte di questo universo, l’uomo, che “canta” la donna-musa in video interviste. Autrice di varie mostre in tutta Italia, Alessia usa mezzi espressivi diversi, dalla fotografia a video-interviste, dal video musicale (l’ultimo per una canzone di Vasco Rossi) alla performance art.

Paola Di Bello (www.paoladibello.com) nasce a Napoli nel 1961 ma vive a Milano da anni. Fotografa e videomaker, si forma come artista nello studio del padre Bruno. Realizza la sua prima personale nel 1990 alla Galleria Care-of. Nel 2000 vince una borsa di studio in Florida presso l’ACA che la porterà a collaborare con William Kentridge e Marc Dion nella residenza di Civitella Ranieri. Dal 2006 è titolare della cattedra di Fotografia dell’Accademia di Brera, dove attualmente coordina il Biennio specialistico di Fotografia. Ha partecipato a numerose mostre in Italia e all’estero. È appena uscito il libro Bildung (Damiani Editore) e nel 2004 la rivista Domus le ha dedicato la copertina.

Alessandro Di Giugno (www.adigiugno.com) nasce nel 1977 a Palermo. Nel 2001 e nel 2005 vince il premio Genio di Palermo studi aperti degli artisti e nel 2002 è a Vienna presso l'AIR -Artist in Residence. Nel 2005 insieme a UDLA-Universidad de las Americas, Puebla Messico, realizza il progetto fotografico per AZTECAS. Per Association des centres culturels de rencontre e UNESCO realizza un progetto fotografico all’interno del Programme Odyssée. Per CISS, una ONG per la cooperazione e lo sviluppo nei “Sud del Mondo”, realizza “Petit Passage en Maroc” (2006). Collabora con diverse riviste e agenzie in Italia e in Europa.

Fabio Donato (info@fondazionemorra.org) nasce nel 1947. Vive e lavora a Napoli. Fotografo dal 1970, è costantemente presente negli ambienti dell’arte e della cultura dei quali diviene attento testimone. Tra le numerose esposizioni (circa 150) ricordiamo: Galleria Il Diaframma (Milano, 1971), Cantiere Sperimentale dell’Immagine (Firenze, 1978), Lucio Amelio (Napoli, 1979), Museo de Arte (San Paolo, Brasile, 1981), Biennale Sala delle Colonne (Venezia, 1982), Istituto Italiano di Cultura (Monaco di Baviera, 1992), Studio Morra (Napoli, 1998), Convento di San Francesco (La Havana, Cuba, 1999), e l’antologica curata dalla Fondazione Morra al Museo di Capodimonte, (Napoli, 2007). È autore di numerose monografie e docente di Fotografia presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli.

Giovanna Gammarota vive e lavora a Milano. Le sue ultime mostre sono: “Sopraluoghi in Lucania. Sulle tracce del “Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini” (2006) esposto in diverse città italiane; “A piccoli passi. Un treno per Auschwitz” (2008), realizzato in collaborazione con la Provincia di Milano; e “Di case e di alberi. Camminando con Beppe” (2009), un lavoro svolto sul territorio della Resistenza nell’albese. Numerose sono le mostre che ha tenuto in Italia e all’estero in spazi pubblici e privati. Tra i vari riconoscimenti: il Primo premio “Sybaris – Cossa Aenotria” (1996 e 1997) per la sezione bianco e nero.

Ico Gasparri nasce nel 1959 a Cava de’ Tirreni ed è archeologo e fotografo dal 1977. La prima fase di riprese concettuali sui volumi, le linee e la materia del Mediterraneo ha generato le mostre “Architetture disegnate”, “Bianco Mediterraneo”, “Frammenti metaurbani”, e “Marocco!” Dal 1990 sviluppa diverse campagne, mostre e spettacoli teatrali nell’ambito dell’impegno sociale (violenza sulle donne, immigrazione, rifiuti urbani, resistenza contro la mafia in Sicilia, etc.). Ha pubblicato molti libri di fotografia industriale e un libro monografico dal titolo Capri! La foglia e la pietra. Nel 2009 ha portato in scena Il Boa, suo primo testo teatrale dove la fotografia diventa presenza scenica.

Raffaela Mariniello vive e lavora a Napoli. Tra i suoi lavori si ricordano le monografie: Bagnoli, una fabbrica, (Electa Napoli, 1991), Napoli veduta immaginaria, (Motta Editore Milano, 2001), Raffaela Mariniello (Ffotogallery Editions Cardiff UK, 2006); le installazioni “Moltitudini” (1995), “Natura morta” (1999), “over and over” (videoinstallazione, 2005). L’ultimo lavoro, “Souvenir d’Italie”, è stato esposto al Carousel du Louvre per “Paris Photo” (2007) e ha rappresentato l’Italia al festival di fotografia di Toronto (Canada) nell’ultima edizione: “Between Memory and History” (2008). Ha partecipato a numerose mostre collettive in Italia e all’estero. Sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private.

Nino Migliori inizia fotografare nel 1948. Dalla fine degli anni Sessanta il suo lavoro assume valenze concettuali. Con Veronesi, Grignani, Munari e pochissimi altri, si trova ad essere uno degli operatori che in Italia prosegue la ricerca delle avanguardie sui linguaggi iconici. Sue opere sono conservate presso MamBo, Bologna; Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea, Torino; CSAC, Parma; Museo d'Arte Contemporanea Pecci, Prato; Galleria d'Arte Moderna, Roma; Calcografia Nazionale, Roma; MNAC, Barcellona; Museum of Modern Art, New York; Museum of Fine Arts, Houston; Bibliothèque National, Parigi; Museum of Fine Arts, Boston; Musée Reattu, Arles; The International Polaroid Collection, U.S.A., ed altre importanti collezioni pubbliche e private. Numerose sono le mostre che ha tenuto in Italia e all’estero.

Carlo Orsi nasce a Milano nel 1941. Esordisce da giovane nel mondo della fotografia e all’inizio degli anni '60 realizza reportages dall'Italia e dall'estero per riviste come Panorama, Settimo Giorno, Il Mondo e Oggi e lavora nel mondo della moda. Pubblica diversi libri tra cui Milano (1965, con Dino Buzzati), Exstasi (1999), Faithful- People Around the World (2004) e alcuni libri su Arnaldo Pomodoro di cui cura l'immagine dal 1984. Nel 2004 inizia una collaborazione con Interplast, associazione composta da volontari: medici, anestesisti e infermieri. Due libri documentano 4 missioni: Tibet, Cina, Uganda e Bangladesh.

Dino Pedriali nasce nel 1950 a Roma, dove vive e lavora. Inizia la sua carriera nella fotografia come opera d’arte nel 1975 con una monografia sul suo maestro d’arte Man Ray, a cui seguono altre monografie su importanti artisti e personaggi famosi come: Andy Warhol, Pierpaolo Pasolini, Rudolf Nureyev, Giorgio De Chirico, Giacomo Manzù. Ha al suo attivo numerose mostre personali e collettive, sia in Italia che all’estero. Hanno scritto su di lui diversi critici e curatori, tra i quali: J.C.Amman, G.Scimè, Achille Bonito Oliva e Peter Weiermair, che in occasione della mostra antologica dell’artista (Bologna, 2004) lo definisce:” Il Caravaggio della fotografia italiana del Novecento”.

Luca Piovaccari nasce a Cesena nel 1965. Dopo varie esperienze, verso il 1992 comincia ad esporre i propri lavori in maniera assidua. Piovaccari innesca, per mezzo dell’immagine un meccanismo di straniamento, fotografie e installazioni in cui sagome di edifici legati all’architettura funzionale sono affiancate da veri arbusti e immagini evanescenti che raccontano di realtà intangibili e di un progressivo assottigliarsi della materialità del mondo. Partecipa a numerose esposizioni in Italia e all’estero, alcuni lavori sono entrati a far parte di prestigiose collezioni private e museali.

Oliviero Toscani (www.olivierotoscani.com, www.lasterpaia.it, www.razzaumana.it) nasce a Milano nel 1942. Dal 1982 al 2000 ha fatto della United Colors of Benetton uno dei marchi più conosciuti al mondo. Nel 1990 ha ideato e diretto Colors, il primo giornale globale al mondo. Nel 1993 ha concepito e diretto “Fabrica”, centro internazionale per le arti e la ricerca della comunicazione moderna. Il lavoro di Toscani è stato esposto alla Biennale di Venezia, a San Paolo del Brasile, alla Triennale di Milano, e nei musei d'arte moderna e contemporanea di Mexico City, Helsinky, Roma, Lausanne, Francoforte. Ha vinto numerosi premi tra i quali quattro Leoni d'Oro al Festival di Cannes, il Gran Premio dell'UNESCO, due volte il Gran Premio d'Affichage, e numerosi premi degli Art Directors Club di New York, Tokyo e Milano oltre al “Saatchi & Saatchi Clio Hero Show”. Toscani ha insegnato comunicazione visiva in due università e ha scritto diversi libri sulla comunicazione. Ora si interessa di creatività della comunicazione applicata ai vari media, lavorando nel suo nuovo centro di ricerca “La Sterpaia, Bottega dell’Arte della Comunicazione”. È Accademico d’Onore presso l’Accademia delle Belle Arti di Firenze. Vive in Toscana, produce olio d'oliva, vino e alleva cavalli.

Giuseppe Varchetta nasce a Riva del Garda nel 1940. Psicologo dell’organizzazione di formazione psico-socioanalitica, è attualmente professore presso l’Università Statale Bicocca di Milano, e consulente di formazione e sviluppo organizzativo. Ha pubblicato, tra altre cose: Ascoltando Primo Levi (1987), La solidarietà organizzativa (1993), Emergenze organizzative (1997), Il management dell’unicità (1999), La valutazione riconoscente (2005) e ha co-curato Il ritorno dei capi (2006). Fotografa da sempre, esclusivamente in bianco e nero e con macchine analogiche. Ha pubblicato con Cristiano Cassani e da solo diversi libri fotografici. Dal 1988 è responsabile della rubrica “Iconografie organizzative” della rivista Sviluppo e Organizzazione. Ha collaborato a diverse riviste. Numerose sono le mostre che ha tenuto in spazi pubblici e privati.

Nicola Vinci nasce a Castellaneta nel 1975. Vive e lavora a Verona. La sua prima personale, allestita alla Galleria Paolo Erbetta di Foggia, risale al 2001. Da allora ha esposto alla Galleria Nuova Artesegno di Udine, a Palazzo Cecchini di Cordovado (2003), alla Galleria Bonelli Arte Contemporanea di Mantova (2005), e alla Photographers Gallery ZA di Città del Capo (Sudafrica, 2007). Ha preso parte a numerosissime collettive in Italia e all’estero. Nel 2003 ha partecipato alla Quadriennale di Roma – Anteprima Napoli. È stato inoltre selezionato a diverse Biennali e premi. Significativa la sua partecipazioni alle fiere nazionali, europee ed americane.
Le storie
Alessandro, 8 anni nel 1999 (Carlo Orsi)
Alessandro è un ragazzino di 8 anni, figlio di un medico anestesista. Nell’autunno del 1999, lamenta una tosse fastidiosa ed una febbre che non passa con i farmaci anti-infiammatori. La radiografia del torace mostra un'immagine irregolare a sinistra che sembra una polmonite, ma anche un profilo anormale del polmone destro. La TAC del torace però è molto più complicata e rivela una massa tumorale destra di circa 6 centimetri, aderente alla colonna vertebrale, e un'analoga lesione solida a sinistra. La scintigrafia mirata con MIBG1 conferma che c’è attività tumorale in tutti e due i polmoni, ma anche nell'addome. In un ragazzo di 8 anni, la diagnosi clinica più probabile è quella di neuroblastoma2 in fase metastatica diffusa3, malattia molto aggressiva e con scarsissime possibilità di guarigione. Nel dicembre dello stesso anno, Alessandro viene sottoposto ad intervento di toracotomia4 destra per ottenere una biopsia5 del tumore. Chi lo opera non si pone neppure il problema se la malattia possa essere asportata o meno. La diagnosi patologica definitiva è di ganglioneuroblastoma bilaterale, ed Alessandro viene avviato ad un programma di chemioterapia6. Nel giugno 2000, dopo sei cicli di chemioterapia, prima con cisplatino e poi con l'adriamicina, incontro per la prima volta il padre di Alessandro, che mi chiede di rivalutare il caso per decidere insieme se esista una possibilità chirurgica. La nuova TAC mostra che il tumore si è un poco ridotto a destra, ma è completamente scomparso a sinistra. La mia ipotesi clinica è che la lesione polmonare sinistra, come le captazioni7 scintigrafiche in addome, siano solo un fatto infiammatorio e non un segno di diffusione a distanza del tumore. Naturalmente, non posso escludere al cento per cento che il tumore sia ancora presente anche in queste sedi, sia pure con un'ottima riduzione dopo la chemioterapia. Dopo aver valutato accuratamente i rischi di un nuovo intervento, propongo al padre di Alessandro di asportare chirurgicamente il tumore che rimane a destra, con lo scopo di ottenere una guarigione definitiva nel caso non vi siano localizzazioni neoplastiche nel polmone sinistro o in altri organi. Il 17 luglio del 2000 eseguo una nuova toracotomia destra, e riesco ad asportare completamente la malattia. L'esame patologico conferma l'ampia radicalità dell'intervento, i linfonodi risultano indenni e non è necessario programmare altre terapie. Oggi, a 17 anni Alessandro gode di ottima salute, e la sua vita non è diversa da come sarebbe stata senza il tumore.

Alessio, 18 anni nel 1988 (Nicola Vinci)
Durante una partita di tennis nel maggio 1988, Alessio avverte un forte dolore alla gamba, ed un modesto gonfiore del ginocchio destro. Il primo esame radiologico al pronto soccorso ortopedico viene interpretato come rottura del menisco, e trattato con una doccia gessata per 20 giorni. Ma il gonfiore del ginocchio aumenta rapidamente, e una nuova radiografia pone il sospetto di un tumore osseo. Gli esami successivi evidenziano una voluminosa neoplasia del femore, che infiltra i muscoli della coscia e determina un esteso ematoma. La biopsia del femore conferma la diagnosi di osteosarcoma osteoblastico, un tumore estremamente aggressivo. Gli esami di stadiazione8 non mostrano metastasi a distanza ed Alessio inizia la chemioterapia con quattro farmaci. In ottobre, dopo due cicli, è necessario amputare tutto l’arto inferiore e proseguire poi con la terapia medica. L'assenza di malattia nel pezzo asportato fa ben sperare, ma nel luglio dell'anno successivo è necessario un nuovo intervento di pulizia alla coscia, per un'infezione della parte di femore che non era stata asportata. Nel luglio 1990, la TAC torace di controllo mostra una metastasi di 9 cm nel polmone destro. In considerazione dell’età del paziente, propongo un intervento chirurgico radicale, che richiede però l'asportazione della metà inferiore del polmone insieme alla pleura parietale, alle parti molli del mediastino9 ed al diaframma. L'intervento chirurgico ha successo, ma causa una lesione dei vasi che trasportano il chilo10 dall'intestino alle grandi vene del collo, in termini tecnici un chilotorace. Alessio deve smettere di mangiare per 2 settimane, e viene nutrito solo per via endovenosa. Poi inizia la radioterapia sulla parete toracica e ad altri 3 cicli di chemioterapia con vincristina, metotrexate, cisplatino e ifosfamide. Tre anni dopo la TAC mostra due lesioni sospette nell’altro polmone. Propongo un nuovo intervento nell'ottobre 1993, che riesce ancora ad asportare radicalmente una metastasi di 2 centimetri. Nei mesi successivi, Alessio lamenta un'importante insufficienza respiratoria, dovuta agli effetti cronici dei molti trattamenti sopportati. La valutazione pneumologica conferma che è presente una grave patologia infiammatoria del polmone, chiamata bronchiolite11, in gran parte determinata dalla precedente radioterapia, ma la qualità di vita di Alessio rimane nel complesso soddisfacente. Tuttavia, nella primavera del 1998 compare un dolore alla colonna lombare, e gli esami mirati evidenziano una lesione osteolitica12 della quarta vertebra lombare, compatibile con una metastasi ossea o un nuovo osteosarcoma primitivo. Dopo un'accurata valutazione clinica, decidiamo di sposare l'ipotesi più favorevole, vale a dire di un nuovo tumore osseo indipendente dal primo. Alessio viene trattato nuovamente con dosi radicali di radioterapia sulla vertebra, seguita da chemioterapia con cisplatino, etoposide ed ifosfamide. Il dolore osseo gradualmente scompare e gli esami radiologici si normalizzano, ma l'ultima radioterapia ha seriamente danneggiato il midollo spinale ed il movimento della gamba che gli resta. Ora per camminare ha bisogno delle stampelle e di una molla che gli sostenga il piede. A vent’anni dall’esordio del sarcoma e a dieci anni dalla sua ultima manifestazione, Alessio è completamente guarito. Ha una vita professionale molto attiva, e viaggia per il mondo a dispetto dei limiti fisici che le cure gli hanno imposto, ma se gli chiedete cosa pensa della vita, la sua risposta non è mai ottimistica.

Alfredo, 45 anni nel 1998 (Fabio Donato)
Alfredo ha 45 anni quando, in pieno benessere, con un colpo di tosse espettora catarro misto a sangue. La lastra del torace e poi la TAC mettono in evidenza una neoplasia di sette centimetri nel centro del polmone destro, che infiltra la porzione terminale della trachea e la vena cava superiore13. Il tumore viene giudicato inoperabile, e trattato con cisplatino e gemcitabina per quattro cicli. Viene da me per avere un parere sulle cure successive, che dovrebbero proseguire con la radioterapia a dosi radicali su polmone e mediastino. E' giovane e in ottime condizioni generali, anche se ha fumato moltissimo. Prima di escludere definitivamente la terapia chirurgica, gli propongo una valutazione approfondita della malattia. La nuova TAC mostra una netta riduzione del tumore dopo chemioterapia, ma persiste infiltrazione della parte terminale della trachea e del vasi mediastinici. Il polmone destro contribuisce per il 47% alla sua funzione respiratoria, ma la capacità funzionale del polmone sinistro è ben conservata. Nel dicembre 1998, gli propongo un’esplorazione endoscopica chirurgica con broncoscopia rigida14 e mediastinoscopia cervicale15 in anestesia generale. La parte distale della trachea risulta libera da malattia, salvo l'origine del bronco principale destro, mentre tutte le biopsie dei linfonodi mediastinici sono negative. La settimana successiva, procedo all’intervento demolitivo, che richiede un accesso molto ampio con apertura combinata dello sterno e della parete toracica destra, l’asportazione del polmone destro, della parte terminale della trachea e della vena cava, con re-impianto del polmone sinistro sulla trachea residua. All’esame istologico finale, solo due linfonodi mediastinici risultano interessati dall’adenocarcinoma polmonare, con tutti i margini di resezione indenni. Alfredo ha smesso completamente di fumare prima dell'intervento, e non ha più avuto problemi di salute. Negli ultimi dieci anni non l'ho visto molte volte perché non ama viaggiare, ma quando ci sentiamo per telefono non ho motivo di dubitare che stia bene.

Annamaria, 50 anni nel 1999 (Aurelio Amendola)
Nel giugno 1999, Annamaria nota un progressivo gonfiore al volto e al collo, con distensione delle vene superficiali del torace. Gli esami eseguiti in ricovero urgente mostrano una voluminosa massa mediastinica, che ostruisce la vena cava superiore. Il prelievo bioptico eseguito altrove in toracoscopia pone diagnosi di timoma maligno16, che viene giudicato inoperabile per l'infiltrazione massiva della vena cava superiore. Viene subito iniziata la chemioterapia con cisplatino ed epirubicina, ma dopo tre cicli il quadro clinico non è affatto migliorato. Al contrario, la sindrome mediastinica si è aggravata, con comparsa di una trombosi17 della vena succlavia e giugulare. Il 13 ottobre inizia il trattamento di radioterapia, fino a raggiungere la dose massima tollerabile di 45 Gy18. Quando incontro Annamaria, nel corso della radioterapia, le esprimo con franchezza i miei dubbi sull’efficacia delle cure mediche nel suo caso, proponendole di rivalutare la possibilità di un intervento chirurgico di salvataggio alla fine del trattamento radiante. E' una donna molto forte, ed ha al suo fianco un marito sensibile, e che vuole aiutarla. Come prevedibile, la TAC successiva non mostra alcun miglioramento della neoplasia, che ora occlude quasi completamente l’atrio destro del cuore e parzialmente anche il ventricolo. Dopo aver discusso il caso con il prof. Biglioli, direttore della cardiochirurgia del Monzino, propongo ad Annamaria un intervento combinato di asportazione del timoma e sostituzione della vena cava e dell’atrio destro. E’ una tecnica che ho imparato a Parigi da Philippe Dartevelle, maestro indiscusso della chirurgia toracica francese. Tre giorni prima di Natale eseguiamo l’intervento, mediante sternotomia mediana19 ed accesso combinato trans-manubriale20 sinistro, con l'aiuto della circolazione extracorporea, ma senza dover arrestare il cuore. Il decorso postoperatorio è molto soddisfacente, con una rapida scomparsa del gonfiore al volto. L'esame patologico definitivo conferma la diagnosi di timoma maligno, infiltrante l'atrio destro, la vena cava ed anonima, ma i margini di resezione e tutti i 27 linfonodi mediastinici sono indenni. Annamaria è guarita dal timoma, ma non riesco a convincerla a smettere di fumare. A distanza di sette anni, nel settembre 2006 la TAC di controllo mostra delle immagini sospette in entrambi i polmoni. Ricominciamo gli esami di stadiazione nell'ipotesi di una recidiva del timoma, ma il risultato della PET21 orienta verso un tumore primitivo polmonare bilaterale. Le sue condizioni respiratore sono ancora abbastanza buone, e non vi sono alternative terapeutiche essendo già stata irradiata al polmone. Decidiamo insieme di procedere con la lobectomia a sinistra, dove il tumore è più esteso. L'esame istologico conferma la diagnosi di adenocarcinoma primitivo in primo stadio. Annamaria supera bene l'intervento, ha finalmente smesso di fumare ed inizia un programma intenso di fisioterapia. Dopo tredici mesi, nel novembre 2007, posso operarla a destra, e anche qui si tratta di un tumore in stadio iniziale. Oggi sta bene, e quando la vedo per il controllo non sembra vero neanche a me che abbia potuto superare tante vicissitudini senza perdere il coraggio e la voglia di vivere, e men che meno l'umorismo tagliente della sua toscana.

Antonio, 50 anni nel 1998 (Carlo Orsi)
Antonio avverte una progressiva difficoltà ad inghiottire il cibo, accompagnata a disturbi del respiro, nei primi mesi del 1998. Quando lo visito per la prima volta alla fine di aprile, le sue condizioni respiratorie sono stabili, ma potenzialmente critiche a breve termine, ed organizzo in urgenza gli accertamenti del caso. La TAC mostra una voluminosa neoplasia nella parte superiore del torace, che coinvolge estesamente l’esofago, la trachea ed il polmone sinistro, chiaramente non operabile. All'esame endoscopico si evidenzia una compressione estrinseca della trachea e dell'esofago, senza lesioni endoluminali22. Fortunatamente, una agobiopsia attraverso la parete bronchiale fornisce la diagnosi di carcinoma epidermoide, a verosimile origine tracheale. Discuto subito con Antonio il risultato degli esami e gli propongo un programma combinato di chemio-radioterapia, ma nel giro di pochi giorni, prima che possiamo iniziare le cure, le sue condizioni respiratorie precipitano. Il 6 maggio lo ricovero d'urgenza, e scopro che il tumore è cresciuto fino a chiudere quasi completamente la trachea. Inoltre, i suoi accessi di tosse hanno causato un pneumotorace23 acuto, ed il collasso del polmone sinistro. Il giorno stesso, dopo avere posizionato un drenaggio toracico, porto Antonio in sala operatoria per una broncoscopia rigida in anestesia generale. Ottenuto un immediato ripristino della ventilazione polmonare con l'introduzione del broncoscopio, procedo alla tracheotomia ed al posizionamento di un tubo di Montgomery. Si tratta di un tubo a forma di T in silicone, di cui due branche vengono introdotte nella trachea ed una fuoriesce a livello del collo, garantendo non solo la respirazione spontanea, ma anche l'aspirazione delle secrezioni bronchiali che si accumulano al di sotto del tumore che ostruisce la trachea. E' una tecnica che ho utilizzato molte volte a Londra, per trattare in emergenza pazienti con stenosi24 neoplastiche gravi della trachea, candidati a terapia medica. Il vantaggio di questa procedura, che è poco conosciuta in Italia, è che permette al paziente di gestire autonomamente la tracheotomia per tutta la durata della radioterapia, ma anche di parlare normalmente chiudendo il tubo esterno con un piccolo tappo. Antonio recupera in fretta, e può iniziare subito il trattamento medico. Dopo meno di 3 mesi le sue condizioni respiratorie sono eccellenti, ed è possibile rimuovere senza problemi la protesi tracheale. Anche il risultato della chemio-radioterapia è molto superiore alle attese, ed ottiene la scomparsa completa del tumore. Sfortunatamente, il prezzo di questo successo della radioterapia è una estesa distruzione dei tessuti dai quali il tumore era originato. La cosa più impressionante per me è vedere in broncoscopia una perdita di sostanza di oltre 5 centimetri nella parete posteriore della trachea, con una cavità che si approfonda nel mediastino, senza che Antonio lamenti alcun sintomo importante. Nonostante le nostre preoccupazioni, nell’arco di alcuni mesi la situazione gradualmente migliora, e l’ulcera tracheale si chiude spontaneamente. Antonio oggi vive una vita molto intensa, ed ha deciso di impegnare le sue energie nel campo del volontariato, coordinando l'attività di oltre duecento associazioni che operano nella sua provincia. Non ha dimenticato la drammatica esperienza della sua malattia, ma l'ha trasformata in un formidabile stimolo ad aiutare gli altri che soffrono e a promuovere, soprattutto tra i giovani, la cultura della prevenzione.

Carla, 33 anni nel 1987 (Giuseppe Varchetta)
Nel maggio del 1985 Carla si accorge di un gonfiore alla coscia sinistra. Gli esami si susseguono rapidamente e arriva la diagnosi definitiva di tumore maligno: un sarcoma sinoviale della testa del femore. Inizia le cure con una combinazione di radioterapia e chemioterapia, che ottiene una buona riduzione della massa tumorale e permette poi di eseguire un intervento chirurgico conservativo. E' possibili cioè rimuovere una parte del femore, senza amputare l’arto. Quando nell’aprile 1987 la TAC di controllo mette in evidenza due lesioni millimetriche nel polmone destro, non vi è modo di stabilire se tratti di una ripresa di malattia, e se sia possibile una terapia chirurgica risolutiva. Da circa due anni, di ritorno dal mio soggiorno al Memorial Sloan Kettering di New York, ho avviato in Istituto un programma sperimentale di trattamento precoce e radicale delle metastasi polmonari di sarcoma, che prevede l'esplorazione di entrambi i polmoni attraverso una sternotomia mediana. Bisogna tener conto che a quel tempo la TAC del torace era molto meno accurata di oggi, e che nella maggior parte dei pazienti con sarcoma l'esplorazione manuale del polmone rivelava molte più metastasi di quelle visibili radiologicamente. In Italia, la sternomia era riservata al trattamento delle malattie cardio-vascolari, e non esistevano protocolli di asportazione sistematica e ripetuta delle metastasi polmonari. Grazie al sostegno di Gianni Bonadonna, responsabile dell'oncologia medica in Istituto, e di due pediatri di eccezionale valore, Marco Gasparini e Franca Fossati-Bellani, avevo potuto applicare questo protocollo senza grandi resistenze, sia nei pazienti pediatrici che negli adulti, e sceglievo la via di accesso attraverso lo sterno anche in caso di lesioni molto piccole e situate in un solo polmone. Durante il nostro primo incontro, spiego chiaramente a Carla lo scopo dell'intervento: ottenere una diagnosi certa della presenza di metastasi e possibilmente rimuovere tutte le lesioni palpabili nei due polmoni. Carla comprende bene che l'intervento bilaterale potrebbe risultare inutile, se le piccole lesioni polmonari fossero di natura benigna o nel caso opposto in cui entrambi i polmoni fossero sede di disseminazione micronodulare non resecabile, ma vuole guarire ad ogni costo e accetta senza esitazione. All'apertura del torace, la malattia appare molto più estesa, con 5 noduli palpabili a destra e 6 a sinistra. Mi rendo conto che per potere eliminare la malattia con margini adeguati è necessario asportare completamente il lobo medio a destra, e quasi metà del lobo inferiore a sinistra, dove si trova la lesione più grande, di circa 3 centimetri, e rimuovere poi tutte le altre lesioni una per una. Si tratta di un intervento molto più demolitivo di quanto si riteneva allora accettabile eseguire in una paziente con malattia metastatica diffusa, e con una prognosi nettamente sfavorevole. Ma il nostro accordo prima dell'intervento era molto chiaro, rimuovere tutte le metastasi, se tecnicamente fattibile e con un sacrificio funzionale tollerabile. Così avviene quanto programmato, e come spesso osservo in questi interventi, il recupero di una condizione di benessere psicofisico è rapido e soddisfacente. Contro le aspettative pessimistiche della maggior parte dei medici, i controlli negli anni successivi sono stati sempre negativi, e Carla non ha più avuto bisogno di cure.

Carla, 57 anni nel 2002 (Ferdinando Cioffi)
Carla non ha mai avuto problemi di salute, ma da qualche mese avverte una modesta debolezza generale, senza alcun sintomo specifico. Per questo decide di fare gli esami del sangue, e così scopre di avere un marcatore tumorale elevato, il CEA, e la lastra del torace rivela una piccola lesione nel polmone destro. Quando la incontro, nel febbraio 2002, un’agobiopsia ha già confermato la diagnosi di adenocarcinoma polmonare, giudicato però inoperabile dallo specialista pneumologo per la presenza di metastasi nei linfonodi mediastinici dall’altro lato, confermate dalla positività della PET. Carla è sconvolta da questa notizia, che la coglie di sorpresa, in pieno benessere, insieme ad una condanna senza appello. La informo subito che l’esito della PET non significa affatto una certezza di metastasi, perché i falsi positivi sono molto frequenti nei linfonodi e per essere certi bisogna ottenere un prelievo bioptico con un piccolo intervento endoscopico. Fortunatamente, la mediastinoscopia conferma la negatività dei linfonodi a sinistra, e dopo qualche giorno posso eseguire l’intervento di asportazione del lobo superiore e medio ed una dissezione radicale dei linfonodi. Ma le sorprese per Carla non sono finite: l’esame istologico definitivo mostra che solo uno dei tanti linfonodi asportati é sede di metastasi, ma che molti altri contengono invece un'infezione tubercolare, un fatto che spiega perfettamente la positività iniziale della PET. Questa notizia apre un grande dilemma nella scelta delle cure successive: proporre una chemioterapia antitumorale con il rischio di immunosoppressione e diffusione incontrollabile della tubercolosi, o una terapia antibiotica mirata senza chemioterapia precauzionale. Discussi i pro e contro con Carla, scegliamo la terapia antitubercolare. La storia successiva ci da ragione, ed i controlli sono negativi per cinque anni. Ma nel 2007 il CEA riprende a crescere e la TAC del torace mostra un piccolo nodulo nel polmone sinistro. Questa volta la PET è positiva solo in questa sede, mentre tutti i linfonodi sono negativi. Le sue condizioni generali e respiratorie sono ottime, e le propongo un nuovo intervento. E’ sufficiente la resezione conservativa di un solo segmento polmonare, e l'esame istologico conferma un adenocarcinoma in stadio iniziale. Sette anni dopo quella diagnosi infausta, Carla è in ottime condizioni fisiche e libera dal tumore, ma ora è più difficile convincerla che tutto andrà bene anche in futuro.

Carlo, 24 anni nel 1998 (Raffaella Mariniello)
Immaginate un giovane di 24 anni che all’improvviso comincia a tossire sangue in grande quantità, si ricovera in ospedale e dopo gli esami del caso gli comunicano che ha una forma gravissima di tumore polmonare già metastatico, chiamato microcitoma o tumore a piccole cellule, con una localizzazione secondaria nell'occhio. Viene quindi trattato con chemioterapia e radioterapia per più di sei mesi senza risultato, e poi gli dicono che non c’è più nulla da fare. In queste condizioni, di decadimento fisico e psicologico ed ancora con quel sanguinamento che non gli dà tregua, incontro Carlo nel luglio del 1998. Ma la sua storia non mi convince, e già qualcuno prima di me ha messo in dubbio la diagnosi iniziale, richiedendo un nuovo esame della prima biopsia da parte di un patologo di grandissima esperienza, Juan Rosai. Carlo ha in realtà un altro tipo di tumore, molto meno aggressivo ma insensibile alle cure mediche, e la lesione nel fondo dell’occhio non è affatto una metastasi. E' un caso abbastanza tipico in giovani uomini o donne, che non hanno mai fumato, in cui viene erroneamente posta diagnosi di microcitoma mentre sono in realtà affetti da carcinoide25 bronchiale. Più volte mi è capitato di dover far ricorso ad ogni possibile spiegazione per convincere questi pazienti che la diagnosi corretta è un'altra, e che a dispetto del fallimento delle cure mediche esiste una possibilità di salvataggio chirurgico. Naturalmente, si sarebbe potuto operare Carlo fin dall’inizio, ma ora con i danni della radioterapia sul polmone e la tossicità di una lunga chemioterapia tutto è più difficile. Comincio ad eliminare uno ad uno i problemi che impediscono l’intervento, e con una broncoscopia rigida in anestesia generale accerto che la trachea non è malata. A questo punto, posso proporre a Carlo un intervento chirurgico esplorativo, ed infine a torace aperto dimostrare che non vi sono metastasi nei linfonodi, né ostacoli ad un intervento risolutivo. Anche l’intervento di resezione risulta alla fine meno demolitivo del previsto, e riesco a conservare il lobo inferiore del polmone, con un intervento di ricostruzione della via aerea, reimpiantando il bronco del lobo inferiore direttamente sulla trachea. E' un intervento tecnicamente complesso, e che molti chirurghi anche esperti ritengono gravato da un altissimo rischio di complicazioni, quando il paziente sia stato trattato in precedenza con radioterapia a dosi radicali. Sette giorni dopo Carlo lascia l’ospedale, per non tornarci più. Oggi Carlo si sente una persona diversa, e per certi versi migliore che in passato. La sua vita prima, durante e dopo la malattia la racconta meglio di chiunque altro nel video che ha realizzato con Raffaella Mariniello.

Carmine, 83 anni nel 2003 (Dino Pedriali)
Storia straordinaria quella di Carmine, professore di Igiene in una importante università italiana, autore di trattati fondamentali, tuttora in uso nel corso di laurea, ma anche di numerosi libri di poesie. Operato dieci anni prima per un carcinoma della tiroide, ha seguito con grande sofferenza la malattia della moglie Maria, anch’essa medico cardiologo, morta per un carcinoma gastrico nel 1998. Vengo a conoscenza dei suoi nuovi problemi attraverso il figlio, biologo di fama che divide la sua attività di ricerca tra l’Italia e l’Inghilterra. Gerry mi dice che il padre, pur continuando il suo lavoro di docente, lamenta da qualche mese un peggioramento della voce, già compromessa dall'intervento di dieci anni prima, ed una progressiva difficoltà ad alimentarsi. Sospettando una recidiva del tumore tiroideo, gli propongo un ricovero in Istituto per completare gli esami e valutare le possibilità di un trattamento di salvataggio. In pochi giorni accerto che il carcinoma della tiroide si è riformato nel collo, infiltrando la trachea e l’esofago, ma è ancora possibile un intervento di asportazione radicale. Anche se le condizioni generali di Carmine sono piuttosto scadute per il digiuno prolungato, la sua funzione cardiaca e polmonare è ancora molto valida, e sufficiente ad affrontare anche un intervento così impegnativo. La mia difficoltà più grande è comunicargli che l’intervento richiederà il sacrificio totale della laringe e dell’esofago, sapendo quanto è importante la voce per la sua attività di insegnamento. Carmine, è consapevole che dovrà rinunciare a parlare, perché non esistono alternative terapeutiche in una malattia a così lenta crescita, e dimostra anche in questa occasione uno straordinario coraggio ed attaccamento alla vita. Anche i nostri anestesisti valutano con grande attenzione questo malato eccellente, ma con molti fattori di rischio. Alla fine decidiamo insieme che vale la pena di intraprendere la via chirurgica. L’intervento va molto bene dal punto di vista tecnico, ma è necessario superare più di un momento di crisi, soprattutto a livello respiratorio, ma anche sul piano del trauma psicologico. Nonostante tutte le difficoltà, Carmine lascia l’ospedale due settimane dopo, ma non riesco ad avere più alcun contatto con lui. Gerry mi spiega in seguito che superare i problemi di comunicazione ha richiesto parecchio tempo, anche se il padre ha ripreso a lavorare in università quasi subito. Nell’autunno del 2006, ricevo un libro di poesie in cui Carmine racconta come in un diario la sua malattia, e quella della moglie Maria. Ha scelto un modo molto particolare di esprimermi la sua gratitudine e un'inesauribile voglia di vivere, coerente con la sua profonda umanità.

Cristina, 20 anni nel 1986 (Enrico Cattaneo)
Nel novembre 1985, Cristina avverte un dolore alla gamba sinistra, e poco dopo scopre una tumefazione dura in corrispondenza dell’osso. La lastra mostra una lesione distruente nella parte alta del perone, e la biopsia pone diagnosi di istiocitoma fibroso maligno. Trattandosi di un sarcoma molto aggressivo, Cristina inizia il trattatamento con chemioterapia endo-arteriosa26 per 2 cicli, seguta da un'intervento di resezione conservativa del perone, e successiva chemioterapia adiuvante endovenosa per altri 7 cicli. Le cose vanno bene per quattro anni, e Cristina sembra essere fuori pericolo, quando la radiografia di controllo mostra una lesione metastatica di 6 centimetri nel polmone sinistro. Su richiesta dei colleghi pediatri, incontro Cristina per discutere la sua malattia e le propongo l’intervento di sternotomia mediana con esplorazione di entrambi i polmoni. Non è una notizia facile da accettare, quando tutto sembrava risolto, ma l'intervento va molto bene, e si risolve in una lobectomia superiore sinistra con conservazione della lingula27, senza ulteriori sorprese. L’esame istologico definitivo conferma la diagnosi di istiocitoma fibroso maligno metastatico, e le cure proseguono con altri 4 cicli di chemioterapia. Cristina non ha più problemi fino al gennaio 1994, quando viene ricoverata d’urgenza in un altro ospedale per un dolore acuto al torace e una febbre persistente. La TAC rivela la presenza di una massa di 15 x 12 centimetri situata nella parte centrale del torace, tra i due polmoni e davanti al cuore. La sede mediastinica è del tutto inconsueta per una metastasi di sarcoma dell’arto, e fa sospettare una neoplasia primitiva del timo o addirittura un linfoma. Parlo con Cristina delle possibilità di recupero chirurgico, sia pure in condizioni di notevole complessità tecnica, per la resezione precedente e la sede anatomica attuale. Lei è determinata a risolvere il problema, ed il 13 gennaio la opero di nuovo. Anche questa volta devo passare attraverso lo sterno, ma riesco ad asportare completamente il tumore mediastinico, insieme al sacco pericardico28 e parte del polmone destro. Contrariamente alle nostre previsioni, il patologo fa diagnosi di sarcoma metastatico, e si decide di completare il trattamento con ifosfamide al alte dosi per 2 cicli, seguito da radioterapia mediastinica. Tutti i controlli nei quindici anni successivi sono negativi, e Cristina oggi sta molto bene.

Davide, 15 anni nel 1989 (Giuseppe Varchetta)
I problemi di Davide iniziano nel giugno 1988 con un ricovero per broncopolmonite destra. Il mese successivo lamenta un dolore all'inguine, che si irradia alla coscia destra, e viene interpretato come traumatico. Nel marzo 1989 si presenta di nuovo la febbre alta e la lastra del torace fa sospettare una polmonite bilaterale, ma un esame stratigrafico29 mostra numerosi noduli polmonari sospetti per metastasi. L'agoaspirato polmonare conferma purtoppo che si tratta di un sarcoma di Ewing, e la scintigrafia ossea identifica nel femore destro la sede primaria della malattia. Si tratta di un tumore molto aggressivo, con una limitatissima probabilità di guarigione quando siano presenti metastasi al momento della diagnosi. Davide inizia subito la chemioterapia, alla quale viene poi associata la radioterapia sul femore, e infine a basse dosi sul resto del corpo. Nel settembre 1991, un anno dopo la fine delle cure, sono ancora presenti dei focolai neoplastici in entrambi i polmoni. Anche se non esiste in quel momento alcuna indicazione chirurgica per un sarcoma di Ewing con metastasi sincrone, daccordo con i nostri pediatri, propongo a Davide di asportare tutti i noduli polmonari. Come sempre, eseguo l'intervento attraverso la sternotomia mediana, ma con l'aiuto di un bisturi al laser, per poter preservare il più possibile il polmone sano. In questo modo riesco ad eliminare ogni residuo della malattia, e per quasi due anni le cose vanno molto bene. Purtroppo, nel luglio del 1993 la lastra di controllo mostra che il sarcoma è ricresciuto nel polmone. Tutto fa pensare che la malattia sia ormai fuori controllo, e che il problema non possa essere risolto in nessun modo. Ma Davide è un giovane in ottime condizioni fisiche e psicologiche, e vuole a tutti i costi riprovarci. Nell'agosto del 1993, si procede all'intervento di salvataggio, mediante riapertura dello sterno e resezione segmentaria del lobo inferiore destro. Oggi Davide ha 35 anni ben portati, e guardando indietro la sua storia gli sembra appartenere ad un altra persona.

Davide, 52 anni nel 2000 (Antonio Biasiucci)
E' un luogo comune molto popolare che i medici siano i pazienti peggiori. Io ne ho curati tanti, e non la penso così. Può capitare in tutti i pazienti che le aspettative di cura siano sproporzionate alle possibilità concrete della medicina, ma questo non vale certo nel caso di Davide. Napoletano di grande spirito e brillante otorinolaringoiatra, inizia ad avvertire un dolore insistente al torace nel maggio del 1999. Passano più di sei mesi prima che decida di eseguire una scintigrafia ossea, che mostra una captazione patologica nella quarta vertebra dorsale. Esegue subito una TAC del torace, che conferma una lesione osteolitica del processo trasverso destro di D430, ed un tumore polmonare nel lobo superiore dello stesso lato. Quando mi telefona per un incontro urgente, ha già la diagnosi di carcinoma epidermoide, ottenuta con una agobiopsia dell'osso. La sua situazione è disperata, e non posso che confermagli quello che già sa: non si può guarire da un tumore polmonare con metastasi ossee. C'è un unico dato favorevole nel suo caso, anche se la TAC non mostra una continuità diretta tra il tumore polmonare e l'osteolisi vertebrale, le due lesioni sono così vicine che potrebbe non trattarsi di una metastasi ematogena31. Ci attacchiamo a questo filo di speranza, decidendo di rivalutare tutto dopo la radioterapia sulla vertebra e tre cicli di chemioterapia con cisplatino. La PET eseguita nel maggio del 2000 mostra solo due aree di attività, nel lobo superiore destro e nella vertebra, ma entrambe sono nettamente ridotte al confronto con la TAC iniziale. Discuto il caso con il professor Solero, eminente neurochirurgo dell'Istituto Besta, insieme al quale da molti anni opero i pazienti con problemi vertebrali. Decidiamo che si può fare, e do subito la notizia a Davide, che ne è entusiasta. Il 23 maggio, insieme al dottor Solero, eseguo l'intervento di lobectomia radicale destra, in blocco con la resezione della vertebra e della costa. L'esame istologico definitivo mostra una risposta patologica completa, e tutti i linfonodi asportati sono indenni. Il decorso postoperatorio è del tutto regolare, senza complicanze neurologiche, e Davide viene dimesso in settima giornata. In questi anni si è comportato come un vero paziente modello, non ha mai mancato di eseguire gli esami di controllo, che mi manda per corriere alla scadenza prestabilita. Se ogni tanto mi chiama per telefono è solo per discutere il caso di qualche suo paziente con problemi polmonari, ma io so di essere nel suo cuore.

Denis, 47 anni nel 2001 (Luca Piovaccari)
Solo qualche anno dopo ho scoperto che nella sua terra di Romagna Denis è un personaggio popolare: prima imprenditore di successo e poi politico molto amato dalla gente. Quando ci incontriamo la prima volta, mi colpisce subito per il coraggio con cui ha affrontato la sua malattia, e per la sua data di nascita: solo pochi giorni la separano dalla mia. Da qualche mese si sente stanco, ha perso peso e respira male, ma fuma sempre 40 sigarette al giorno. La gastroscopia ha rivelato un adenocarcinoma primitivo del duodeno, e la TAC del torace mostra una grossa lesione nel polmone destro con metastasi nei linfonodi mediastinici. Prima gli hanno detto che tutto potrebbe essere una conseguenza del tumore duodenale, ma l'agoaspirato bronchiale è compatibile con un'origine polmonare. Parliamo a lungo dell'affidabilità di questa diagnosi citologica32, e delle diverse interpretazioni del suo caso, ma la mia conclusione è che nell'incertezza convenga scegliere l'ipotesi più conveniente per lui, vale a dire quella di due tumori indipendenti e potenzialmente curabili. Ci rivediamo dopo tre cicli di chemioterapia con cisplatino e gemcitabina. Gli esami mostrano una risposta parziale in tutte le sedi di malattia. Gli consiglio di completare il quarto ciclo, e programmiamo il ricovero per l'intervento sul polmone. Il 5 dicembre 2001, in sala operatoria, devo asportare insieme al lobo superiore anche parte della vena cava, ma l'intervento è radicale. L'esame istologico descrive un tumore polmonare a grandi cellule, che infiltra la vena cava superiore, ma tutti i linfonodi sono indenni. Denis torna a casa in sesta giornata, e dopo due mesi sta abbastanza bene per affrontare l'altro intervento di resezione del tumore duodenale. A questo punto, tutti tiriamo un respiro di sollievo e cominciamo a vedere una via d'uscita dal tunnel della malattia. Ma già al primo controllo TAC di maggio, compare una metastasi cerebrale. Consiglio a Denis di evitare un nuovo intervento chirurgico, e di trattare invece la lesione encefalica in modo conservativo con la radioterapia, impiegando però una macchina molto sofisticata: la gamma-knife33. Da allora le cose sono andate bene, e in questi anni Denis ha avuto bisogno solo di un piccolo rimodellamento della corda vocale, per recuperare completamente la sua voce. Non ha smesso di fare politica, e neppure di fumare.

Enrico, 50 anni nel 1992 (Ico Gasparri)
Ricordo come se fosse ieri il mio primo incontro con Enrico nell'estate del 1992. Viene in Istituto insieme alla giovane moglie, sono tutti e due molto spaventati. Non ha nessun disturbo, anche se fuma un pacchetto di sigarette al giorno da più di trent'anni. Ha due grandi passioni: il lavoro e il volo. Recupera edifici di grande prestigio e valore storico, che trasforma in case di riposo per anziani o disabili, e che gestisce in modo molto efficiente con l'aiuto della famiglia. Da quando era giovane ha il brevetto di pilota, e usa regolarmente il suo aereo da turismo in alta quota, per sorvolare le Alpi. Qualche giorno prima, per motivi professionali, ha fatto una radiografia del torace che ha rilevato un addensamento sfumato nel polmone sinistro. La TAC total body conferma la presenza di un nodulo di 3 centimetri nel lobo superiore, e un aumento di dimensione dei linfonodi ilari34. Anche se la broncoscopia è negativa, si tratta quasi certamente di un tumore. Da me vuole sapere due cose: se la malattia è operabile, e se dopo l'intervento potrà ancora volare. Gli rispondo con franchezza che non vedo ostacoli tecnici per l'intervento, ma che se si dovesse sacrificare tutto il polmone, perderebbe certamente una parte della sua capacità respiratoria. Anche se i suoi dati funzionali sono superiori a quelli normali, il polmone sinistro contribuisce per quasi metà del totale, e per lui potrebbe diventare un problema volare in alta quota su un aereo non pressurizzato. Comunque, mi dichiaro ottimista sulle possibilità di conservare la parte inferiore del polmone. In sala operatoria tutto sembra andare bene, e riesco ad eseguire la lobectomia superiore senza grandi problemi. Tuttavia, per sicurezza prelevo anche un campione dei linfonodi in diverse zone del lobo inferiore e li invio per esame patologico estemporaneo. Con mia grande delusione il tumore è presente anche nel lobo che avevo conservato, sono quindi costretto a cambiare programma ed asportare radicalmente tutto il polmone ed i linfonodi mediastinici. L'esame istologico definitivo confermerà che gran parte dei linfonodi asportati sia in sede ilare che mediastinica sono metastastici, inoltre, la neoplasia si estende anche al di fuori del tessuto linfatico. La sua prognosi è ora molto più grave, e in un uomo della sua età si deve considerare un trattamento di chemioterapia adiuvante. Parlo a lungo con Enrico e Fabrizia degli effetti tossici della chemioterapia e dei risultati attesi, che nel suo caso si possono stimare in un miglioramento del 5-10% della probabilità di guarigione. Ma Enrico ha paura degli effetti negativi che la cura può avere sulla sua vita professionale e di relazione, e anche il guadagno gli sembra troppo modesto. Alla fine rifiuta sia la chemioterapia che la radioterapia. Io sono pessimista e ad ogni controllo mi aspetto butte notizie. Due anni dopo Enrico e Fabrizia chiedono di vedermi in privato con urgenza. Sono preparato al peggio, ma questa volta è una vera sorpresa. Fabrizia aspetta un figlio, e sono tutti e due molti indecisi sulla scelta di portare avanti la gravidanza, visto che lui potrebbe morire in breve tempo. Pur essendo molto emozionato da questa notizia, non ho dubbi: questo figlio farà bene ad entrambi, e devono fare di tutto per averlo. Oggi Edoardo è un bellissimo ragazzo di 15 anni, e ogni volta che guardo la sua foto nel giorno della cresima, con mia figlia di cinque anni, mi sembra un miracolo. Enrico è riuscito a conservare il suo brevetto di volo, ma solo in Svizzera; le autorità italiane non lo ritengono idoneo.

Fabrizio, 13 anni nel 1983 (Paola Di Bello)
Rileggo un'intervista a Fabrizio comparsa sulla Prealpina nel giugno 1987: "A tredici anni mi faceva male il ginocchio, visite su visite, quando hanno capito, era troppo tardi per salvare la gamba". Oggi è un campione nello sport, e un mito per tutti i pazienti che come lui hanno perso una parte del loro corpo per guarire dal cancro, ma non hanno rinunciato alla sfida del vivere. Prima la diagnosi di osteosarcoma, poi in Istituto la chemioterapia endovenosa, seguita dalla terapia intra-arteriosa in ipertermia per cercare di salvare l'arto. Lo opera un grande chirurgo, il professor Campanacci, allora direttore dell'Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna. Sei interventi alla gamba, da ultima l'amputazione, arrivata come una sconfitta, a dispetto di tutte le sofferenze subite durante un'interminabile chemioterapia. E infine, a meno di due anni dalla diagnosi, la metastasi polmonare. A quel tempo, l'ottanta percento dei ragazzi affetti da osteosarcoma muore per metastasi polmonari. La chirurgia viene usata occasionalmente, e in modo del tutto inadeguato. Ma allo Sloan Kettering di New York il dottor Beattie ha già trattato più di un paziente con resezioni ripetute delle metastasi polmonari, ottenendo degli ottimi risultati. Io lavoro con lui nel 1980 e 1981, e quando torno in Istituto riesco a iniziare un programma simile, introducendo però una novità: l'accesso bilaterale per trattare precocemente le lesioni radiologicamente occulte nei due polmoni. Ma non tutti sono daccordo. E così Fabrizio viene operato la prima volta nel febbraio del 1985 in un solo polmone, ma dopo pochi mesi la malattia si ripresenta sempre a livello polmonare. Tutto sembra svolgersi secondo il solito copione, e i miei colleghi oncologi valutano la possibilità di riprendere la chemioterapia per rallentare il decorso del male. Io invece penso che si debba ripetere la chirurgia, ma questa volta con una sternotomia mediana ed una esplorazione dei due polmoni, per non rischiare che resti qualche piccola lesione. Fabrizio è daccordo con me, e l'intervento riesce in modo soddisfacente. Riprende subito i suoi allenamenti, e le gare di canottaggio nelle quali ottiene risultati incredibili. Contro ogni ragionevole aspettativa, il tumore non compare più. L'attività sportiva di Fabrizio supera ogni possibilità d'immaginazione. Partecipa alla maratona di New York, e i giornalisti ormai lo marcano stretto. Si cimenta anche nel ciclismo su pista, e chi lo vede correre nella sua tuta aerodinamica e splendente, rischia di non accorgersi di un particolare importante: quel ciclista ha una gamba sola.

Francesco, 57 anni nel 2001 (Simone Bergantini)
Francesco parla per telefono con voce concitata: mi dice "collega devo parlarti con urgenza di un caso personale, il mio". Quando ci incontriamo, nel marzo 2001, non ci sono dubbi che le sue condizioni siano molto critiche. Dieci giorni prima ha subito un intervento esplorativo, che si è complicato con un'infezione dello sterno. All'esame fisico, presenta un notevole gonfiore del volto e delle braccia; al di sotto della pelle, lo sterno è aperto e mobile con il respiro, e ha una ferita infetta da cui fuoriesce pus. Mi racconta che l'edema al volto è iniziato più di sei mesi prima, e da due mesi si è abbassata anche la voce. La TAC eseguita prima dell'intervento mostra una voluminosa neoplasia del mediastino, che ostruisce la vena cava superiore, e la biopsia chirurgica ha confermato trattarsi di un timoma maligno. Lo ricovero due settimane dopo per una rivalutazione completa: il tumore è operabile ma richiede una resezione molto estesa dei vasi venosi del torace. Normalmente eseguo questo intervento senza problemi, ma l'infezione dello sterno non consente di utilizzare protesi vascolari sintetiche, e devo trovare una soluzione nuova, che sia adeguata in un caso così particolare. Il 5 aprile lo porto in sala, dopo avergli promesso che farò di tutto perché non debba essere operato un'altra volta. Rimuovere radicalmente il tumore non è un problema, ma devo sacrificare la vena cava e tutto il distretto venoso superiore, oltre al nervo frenico35 e parte del polmone destro. In altre parole, non resta più alcuno scarico diretto delle vene della testa e delle braccia, per entrambi i lati. Non potendo utilizzare protesi in materiale sintetico, utilizzo la parte sana del pericardio per ristabilire una continuità tra la vena azigos, che drena il sangue della parete toracica, e il cuore destro, perché possa funzionare almeno in parte come circolo collaterale nel periodo postoperatorio immediato. Poi, devo scegliere una rete riassorbibile che sia adatta per ricostruire il sacco pericardico, e rimodellare il diaframma perché riesca a respirare anche senza il nervo fenico. Come ultimo atto, apro l'addome e preparo un lembo peduncolato di omento36, da ruotare in torace al di sotto dello sterno, perché aiuti a guarire l'infezione. Francesco recupera in fretta e lascia l'ospedale in ottava giornata. L'esame istologico conferma trattarsi di un timoma maligno infiltrante la vena cava, ma tutti i margini della resezione e i venti linfonodi asportati sono indenni. Sono più che soddisfatto, anche perché nelle settimane che seguono non si manifestano segni di infezione della ferita. Al primo controllo Francesco sta benissimo, ma dopo un paio di mesi ricevo una telefonata del fratello, monsignore, che mi comunica del suo ricovero urgente all'Istituto Neurologico Besta, per una crisi miastenica. Lo trovo nel reparto di rianimazione, in stato comatoso e ventilato meccanicamente. Scopro solo allora che Francesco, forse per non preoccuparmi troppo, non mi aveva detto che da anni assumeva saltuariamente farmaci contro la miastenia, una malattia neurologica frequentemente associata al timoma e che causa, tra gli altri sintomi, anche una importante insufficienza respiratoria. Proprio un bello scherzo da medico, fratello di prete. Pian piano siamo diventati amici, e nel corso del tempo ho scoperto che, oltre ad una lunga carriera di primario ostetrico, Francesco ha svolto un importante ruolo politico in Puglia. Amico personale di Aldo Moro, per quindici anni ha amministrato come sindaco un bellissimo paese in riva al mare, a nord di Bari. Grazie alle sue molteplici relazioni umane e politiche, è riuscito a ristrutturare completamente il paese, riportandone all'antico splendore gli edifici e le strade, tutte fatte in pietra bianca di Trani.

Gabriella, 38 anni nel 1980 (Paola Di Bello)
Dall'età di 14 anni Gabriella vive per lo sport, la sua passione è la canoa, partecipa alle olimpiadi di Roma nel 1960 ed è campionessa italiana di kajak fino al 1963. Poi si sposa con Alberto, come lei campione di canottaggio, con il quale condividerà la passione per la montagna e poi per la bicicletta. Nel 1979 cominciano i problemi intestinali, e viene curata per molti mesi come un caso di colite ulcerosa, fino a quando esegue una colonscopia che rivela il carcinoma del retto. Nel luglio del 1980, Gabriella viene operata nel nostro Istituto dal professor Gennari: l'intervento è radicale ma il tumore è molto esteso e sono presenti metastasi massive in più di un linfonodo. Anche se la prognosi è sfavorevole, a quel tempo il piano di cura non prevede un trattamento adiuvante, ma solo controlli periodici. Tutto va bene fino al giugno del 1991, quando Alberto va in pensione e decidono di regalarsi un bel viaggio in America. Volano a New York con le biciclette, e partono per un'avventura che non si è ancora conclusa. Il loro primo viaggio in bicicletta termina sul Golden Gate di San Francisco, dopo 73 giorni e 8,000 km. Nel novembre dello stesso anno, Gabriella avverte un forte dolore al fianco, e nota una goccia di sangue nel catarro. La radiografia del torace rivela una lesione di quattro centimetri nel polmone destro, compatibile con una metastasi. Il 25 novembre assisto il professor Ravasi nell'intervento di resezione polmonare, che ottiene un'asportazione radicale della malattia. L'esame istologico conferma l'origine intestinale del tumore, ma la metastasi è unica ed i linfonodi sono indenni. Gabriella non ha più problemi, salvo un innocuo carcinoma basocellulare della cute asportato nel 2007, mentre Alberto viene operato per un carcinoma renale nel 1996. Ma la loro avventura di viaggio non si arresterà mai: dal 1993 ad oggi percorrono in bicicletta 70,000 km, attraversando ogni anno un paese diverso: Alaska, Australia, Nuova Zelanda, Grecia, Israele, Messico, Cile, Argentina, Europa, Sud Africa, India, Thailandia, Malesia, Scandinavia, Canada, Giappone, e Cina.

Gaetano, 63 anni nel 1999 (Enzo Cei)
Gaetano non ha fumato molto, solo cinque anni in gioventù, ma ha sempre lavorato molto duro, prima a curar pecore ancora piccolissimo, poi a costruire tralicci in Germania, e per gran parte della vita a montare bruciatori per caldaie, respirando amianto, ossido di carbonio e altri veleni. Arriva a Milano da Baruccio, un borgo di poche case sperduto sulle montagne delle Marche. Da sei mesi tossisce senza tregua, e così gli hanno scoperto un tumore del polmone destro, con metastasi ai linfonodi mediastinici. Quando ci incontriamo, ha già fatto cinque cicli di chemioterapia con cisplatino e gemcitabina, mal tollerati per la notevole tossicità, ma la TAC di controllo non mostra alcun miglioramento. E' stanco e depresso, perchè gli hanno comunicato che la sua malattia rimane inoperabile e che gli restano sei mesi di vita. Gli dico subito che non sono d'accordo, e che può essere operato anche se il tumore non si è modificato con i farmaci. Gaetano torna nelle Marche in attesa del posto in ospedale, ma dopo 2 settimane devo ricoverarlo in urgenza per un'importante emorragia polmonare. L'intervento riesce perfettamente, anche se devo asportare tutto il polmone destro e ricostruire il pericardio con una protesi di materiale sintetico. L'esame istologico conferma le metastasi ai linfonodi mediastinici, e di conseguenza programmo la radioterapia adiuvante, che dovrà iniziare un mese dopo la chirurgia. Gaetano lascia l'ospedale in pochi giorni, ma dopo una settimana mi telefona perchè gli è salita la febbre oltre 39 e quando cerca di coricarsi gli pare di soffocare. Sono veramente preoccupato, e devo chiedergli di affrontare un nuovo estenuante viaggio a Milano. La diagnosi è purtroppo assai chiara: ha una grave infezione della cavità pleurica, forse dovuta alla chemioterapia, e la sutura del bronco non ha retto, causando una comunicazione tra lo spazio pleurico destro ed il polmone rimasto a sinistra. Quello che gli propongo non è piacevole e neppure semplice, per entrambi: per guarire l'infezione si deve prima rimuovere quattro coste per creare una grande finestra nella parete toracica, attraverso la quale eseguire le medicazioni giornaliere del cavo pleurico. Solo a distanza di qualche mese, una volta guarito il cavo pleurico, si potrà richiudere il bronco, portando il grande muscolo dorsale all'interno del torace, ed impedire in questo modo che si riformi l'infezione. Ma non è facile spiegare tutto questo ad un paziente molto affaticato, con una prognosi tumorale sfavorevole, e che non può più tollerare alcun trattamento adiuvante. Gaetano però ha ancora fiducia: il nuovo intervento riesce bene e le sue condizioni migliorano costantemente ad ogni controllo. Dopo cinque mesi di cure, l'infezione pleurica è guarita e possiamo procedere all'intervento di chiusura definitiva della breccia toracica. Adesso ci vediamo ancora una volta anno, e non parliamo più di tumore, fistola bronchiale o infezione, ma solo di come è andato il viaggio, e della vita a Baruccio.

Gianfranco, 59 anni nel 1998 (Ico Gasparri)
Gianfranco vive in Brianza, è un imprenditore di successo, e gli piacciono le auto sportive. Ha fumato molto per tutta la vita, e dieci anni prima ha avuto un brutto episodio di angina pectoris. Da qualche tempo nota che lo sputo contiene tracce di sangue, ma non da molta importanza a questo fatto. Nel settembre dell'anno precedente, dovendo sostituire il ginocchio sinistro con una protesi, ha eseguito una lastra del torace, che descrive un'immagine sospetta nel polmone sinistro, ma la cosa non è stata considerata importante. Quando lo visito nel marzo 1998, sa già di avere un carcinoma epidermoide di cinque centimetri nel polmone sinistro, ma da me vuole sapere se potrà guarire. Lo rassicuro che l'intervento è possibile, e quasi certamente si dovrà asportare solo il lobo inferiore. Comunque, per evitare sorprese richiedo una valutazione funzionale separata dei due polmoni, per essere certo che sia in grado di tollerare anche un intervento più demolitivo. Lo opero il 17 marzo, ed è subito chiaro all'esplorazione del polmone che vi sono metastasi nei linfonodi ilari, che coinvolgono anche la parte superiore del polmone. Dopo avere ottenuto la conferma delle metastasi con l'esame al congelatore, procedo quindi all'intervento di pneumonectomia totale. Gianfranco è molto demoralizzato nell'apprendere questa notizia: ha paura del suo futuro, e di dover condurre una vita da handicappato. Dopo una settimana lascia l'ospedale, e comincia piano piano a riprendere il suo lavoro. Ma la TAC di controllo di luglio non va bene: all'apice del polmone rimasto c'è un nodulo di quindici millimetri. Si vedeva già sei mesi prima, ma era molto più piccolo e non sospetto. Prescrivo un esame PET, che è positivo solo in questa sede. Non penso affatto che si tratti di una metastasi, ma di un altro tumore primitivo. Con Gianfranco discutiamo a lungo sul da farsi, e sul rapporto costo-beneficio delle diverse opzioni terapeutiche. Si potrebbe tentare con la radioterapia, ma non è detto che funzioni. A quel tempo il trattamento stereotassico non è ancora disponibile, e le trenta applicazioni di radioterapia convenzionale potrebbero causare un danno irreparabile al polmone che resta. Alla fine decidiamo di tentare di nuovo con la chirurgia. Non è facile ottenere una resezione anatomica completa, ma conservativa, su un polmone unico che tra l'altro deve continuare ad essere ventilato per tutto l'intervento. Riesco ad asportare solo il segmento dorsale del lobo superiore, e buona parte dei linfonodi ilari e mediastinici. Quando ricevo l'esame patologico finale, sono io ad essere sorpreso: quel piccolo tumore ha già generato una metastasi in un linfonodo dell'ilo polmonare, ma tutti gli altri sono indenni. Ci sono voluti molti anni perchè Gianfranco accettasse l'idea di essere guarito, e non è mai venuto ai controlli. Ogni tanto ci sentiamo per telefono e mi dice che non vuole più vedermi, ma chi potrebbe dargli torto?

Giovanna, 53 anni nel 2000 (Alessandro Di Giugno)
Giovanna vive in un piccolo paese sulle montagne della Sicilia, nella provincia di Agrigento. A 45 anni, in pieno benessere, esegue una radiografia del torace per motivi di lavoro, e scopre un'immagine dubbia a sinistra. La TAC di controllo conferma che il polmone contiene una lesione solida molto sospetta per tumore, ma Giovanna interrompe gli esami: preferisce non sapere di cosa si tratti veramente. Otto anni dopo, nell'ottobre del 2000, viene ricoverata perché le manca il respiro. Questa volta non ci sono più dubbi: alla TAC il tumore è cresciuto da 5 a 15 centimetri, ed è presente anche un abbondante versamento pleurico37. L'agoaspirato del tumore è positivo per timoma maligno, e lei decide di venire a Milano per un parere chirurgico. Quando la visito, dopo un viaggio estenuante, Giovanna è in condizioni molto precarie: respira a fatica e lamenta un forte dolore al torace, che non le dà tregua. La ricovero subito, e in pochi giorni è pronta per l'intervento. Le spiego che il timoma maligno è uno dei pochi tumori solidi in cui la chirurgia può ottenere la guarigione anche in stadio avanzato o quando sono presenti metastasi pleuriche, purchè l'asportazione del tumore sia radicale. Per avere successo in questa malattia non si devono accettare compromessi, anche se l'intervento può essere tecnicamente complesso, sia nella parte demolitiva che in quella ricostruttiva. Nel caso di Giovanna, è necessario asportare la massa mediastinica con tutto il polmone sinistro, la pleura parietale, il pericardio e buona parte del diaframma. Il decorso postoperatorio è complicato da un'iniziale insufficienza renale e poi da una forma molto fastidiosa di gastroenterite, causata da un germe abbastanza pericoloso: il clostridio difficile. Ad un mese dall'intervento, può lasciare l'ospedale, ma dopo pochi giorni deve essere ricoverata di nuovo per una trombosi della vena succlavia. Con la terapia anticoagulante, il gonfiore al braccio scompare rapidamente e Giovanna non ha più problemi. Ma so bene che questa malattia può ripresentarsi a distanza di molto tempo, e che il controllo TAC annuale non può essere interrotto prima di dieci anni. Infatti, nel 2007, compare una lesione sospetta a livello del diaframma, e la PET conferma trattarsi di una recidiva pleurica. Alla fine di novembre, Giovanna deve essere operata ancora, e non si tratta di una cosa facile, perché dopo il primo intervento i visceri addominali sono migrati in torace, ed il colon si trova all'altezza dell'ascella. La recidiva misura 13 x 9 centimetri ed infiltra quel che resta del diaframma e la superficie esterna dell'aorta. Per asportarla è necessario prima separarla dall'aorta e poi rimuoverla insieme al diaframma. Questa volta non ci sono complicazioni e Giovanna va a casa in dodicesima giornata. Adesso sta bene, e si occupa a tempo pieno della sua grande famiglia, dove è al contempo nonna e madre dopo la scomparsa della giovane figlia. Più volte, nel corso della sua lunga malattia, Giovanna mi ha confessato di voler vivere ad ogni costo proprio per le sue piccole nipoti, ma solo ora, vedendo il ritratto di Alessandro Di Giugno, riesco veramente a comprendere il significato delle sue parole.

Giovanni, 70 anni nel 2002 (Fabio Donato)
Giovanni è un tipico esempio di latin lover italiano: alto, bello, e sempre vestito in modo impeccabile. Alla prima visita non capisco se si tratti di un vero gentiluomo e di un mariuolo. Per colpirmi, mi racconta subito del suo passato di canottaggio e vela al circolo nautico di Napoli, città natale che ha lasciato a ventinove anni per emigrare in Puglia. Ha fumato due pacchetti al giorno per più di mezzo secolo, ma grazie al suo passato sportivo respira ancora piuttosto bene. Prima di sottoporsi ad una polipectomia per adenomi tubulari38 del colon, esegue una radiografia del torace, che mostra lesioni di aspetto neoplastico in entrambi i polmoni. Ha un atteggiamento strafottente, ma è chiaro che crepa di paura, perchè gli hanno detto che ha un tumore polmonare metastatico. Cerco di essere il più chiaro possibile con lui: non credo si tratti di metastasi, ma se vuole cercare di venirne fuori deve smettere subito di fumare, e sottoporsi ad un trattamento di chemioterapia per quattro cicli. L'agobiopsia polmonare conferma trattarsi di due tumori differenti, e Giovanni inizia la chemioterapia in Puglia. Quando ci rivediamo tre mesi dopo sta abbastanza bene, e la TAC eseguita dopo la chemioterapia mostra una riduzione di entrambi i tumori, superiore al settanta percento. Lo opero prima a sinistra, asportando il lobo inferiore per un carcinoma neuroendocrino che ha già dato metastasi ai linfonodi ilari, poi dopo tre mesi a destra, questa volta per un adenocarcinoma in stadio iniziale. E' guarito di entrambi, ma continua a fare il suo controllo annuale, perché se che potrebbe averne un'altro, e non vuole correre rischi. Quando ci vediamo mi racconta sempre una storia nuova, come se volesse ricambiare le mie cure, regalandomi un momento di ilarità. L'ultima volta mi ha parlato della sua regata contro la barca del re di Grecia negli anni sessanta, quando la vittoria gli fu rubata per motivi diplomatici, e si vendicò pizzicando platealmente il sedere della principessa sul pontile dello yachting club di Napoli.

Giulio, 55 anni nel 1998 (Fulvio Bortolozzo)
Giulio vive ad Asti, e parla con la tipica inflessione del Monferrato. Le prime avvisaglie della malattia risalgono a qualche mese prima, quando nota delle tracce di sangue nel catarro. Fuma parecchio, e non dà molta importanza ad un evento che non si ripete. Nel febbraio 1998 il sangue ricompare, questa volta in quantità più abbondante, ed una TAC rivela il tumore polmonare. La neoplasia è situata proprio nel centro del polmone, e si associa ad una adenopatia ilare di due centimetri, e ad un'alterazione della parete dell'esofago in corrispondenza del tumore polmonare. Inoltre, la scintigrafia ossea mostra una captazione costale sospetta per metastasi. Non è raro che la scintigrafia causi allarmi ingiustificati per alterazioni che sono in realtà attribuibili a fatti infiammatori cronici o esiti di traumi non rilevanti sul piano clinico. Qualsiasi sospetto di metastasi deve essere affrontato con grande cautela in un tumore polmonare, e questo vale a maggior ragione in un tumore localmente avanzato, e che richiede l'asportazione totale del polmone destro. Infatti, per le differenze anatomiche che esistono tra i due lati, il polmone destro non è solo dominante sul piano funzionale ma anche molto più rischioso in termini di complicanze postoperatorie dopo la pneumonectomia. Nel caso di Giulio, è difficile chiarire in modo inequivocabile se vi siano o meno metastasi a distanza. Infatti, l'esame mirato dell'esofago risulta negativo, così come quello della costa. Decido quindi di concedere al paziente il beneficio del dubbio. L'intervento si rivela tutt'altro che facile: il tumore infiltra le vene polmonari all'origine dal cuore, ed è necessario eseguire un'estesa dissezione intrapericardica, asportando in blocco anche i linfonodi mediastinici sottocarenali, che sono invasi dal tumore. Per un carcinoma epidermoide in terzo stadio, sarebbe consigliabile un trattamento adiuvante di chemioterapia o radioterapia, ma le sue condizioni funzionali non sono brillanti, e temo che qualsiasi terapia complementare possa aumentare in modo eccessivo il rischio di effetti collaterali e compromettere definitivamente la qualità di vita a lungo termine. Spesso, i pazienti con cancro polmonare hanno più di una patologia cronica dovuta al fumo, e valutare in ogni singolo caso il rapporto tra vantaggi e svantaggi dei trattamenti precauzionali dopo la chirurgia può essere molto difficile. Nel caso di Giulio, mi sono astenuto, e fortunatamente non ho avuto ragione di pentirmi.

Hesham, 46 anni nel 2000 (Alessia De Montis)
Hesham vive in Mar Rosso con la moglie italiana e due figli molto piccoli. E' egiziano, ma parla in perfetto Italiano perché ha lavorato a Roma diversi anni. Quando entra nel mio studio con la moglie, mi colpisce per la sua statura imponente, gli occhi chiari ed un sorriso aperto, che contrasta con la gravità della sua situazione. Sa già di avere un microcitoma, la variante più aggressiva del tumore polmonare, che non prevede intervento né concrete possibilità di guarigione. Mi chiede con franchezza se ha senso per lui iniziare una chemioterapia che lo farà soffrire molto in cambio di poco, e se ho qualcosa di diverso da offrirgli. In realtà, lo stadio clinico del tumore è più favorevole di quanto non sia di solito nei tumori a piccole cellule: non ci sono metastasi visibili e la sua forma fisica è eccellente. Gli dico che deve smettere di fumare due pacchetti al giorno, e che deve iniziare immediatamente la chemioterapia. Quando ci rivediamo dopo quattro cicli di terapia, non sputa più sangue, e non fuma. Sia la TAC che la PET mostrano una regressione pressoché completa della malattia. Discutiamo a lungo sul da farsi: è chiaro ad entrambi che il protocollo terapeutico standard prevederebbe ora una radioterapia radicale su polmone e cervello. Tuttavia, per un uomo come lui, che passa gran parte della sua vita sott'acqua, e che aveva fin dall'inizio un tumore contenuto nel polmone, la strategia migliore potrebbe essere un'altra. Gli propongo di rimuovere la malattia residua con un intervento conservativo, e procedere poi alla radioterapia solo sul torace. Per non sacrificare tutto il polmone sinistro, devo resecare estesamente sia la via aerea e che l'arteria polmonare, reimpiantando il lobo inferiore del polmone su quello che resta del bronco principale. Hesham lascia l'ospedale dopo cinque giorni, ed il mese successivo inizia la radioterapia, che dura cinque settimane. Dopo tre mesi mi chiede se può riprendere le immersioni, e raggiungiamo un compromesso: mai oltre i trenta metri. I controlli TAC sono regolari per tre anni, quando di nuovo compaiono tracce di sangue nell'espettorato. Per fortuna, l'esame culturale mostra un'infezione batterica, e il tutto si risolve con una terapia antibiotica mirata. Nel giugno del 2006, ricevo una telefonata molto preoccupata di Hesham: in pieno benessere ha ripreso a sputare sangue, questa volta più abbondante. Gli chiedo se ha ancora fiato per immergersi, e mi confessa con un certo orgoglio di avere pochi giorni prima portato alcuni sub stranieri all'interno di una nave della seconda guerra mondiale, che riposa a cento metri di profondità. Mi sento un pò tradito da questo comportamento irresponsabile, ma non c'è nulla da fare: è la sua vita, e può disporne come vuole. Nel 2009, l'ultima PET certifica che è libero da malattia. Oggi mi piace pensare che con la sua flotta di barche, nel sud del Mar Rosso, ogni anno rende felici centinaia di sub.

Ignazio, 63 anni nel 1999 (Simone Bergantini)
Quella di Ignazio sembra la copia di tante storie di gente che sfida la sorte fumando due pacchetti al giorno per una vita, e di colpo si accorge che è successo quello che sperava non avvenisse mai. Da quattro anni lamenta episodi saltuari di emottisi: ogni tanto sputa sangue, ma poi tutto passa. Nel dicembre del 1995 ha eseguito una TAC ed una broncoscopia, che sono del tutto negative. Di recente viene ricoverato per un nuovo episodio emorragico, e la TAC del torace non lascia dubbi: ha un brutto tumore polmonare con voluminose adenopatie mediastiniche, che sembrano infiltrare l'arco aortico. Quando ci incontriamo ha già subito un intervento di toracotomia esplorativa. Mi racconta che lo hanno aperto e chiuso perché il tumore infiltra i vasi mediastinici ed è assolutamente inoperabile. Non entro nel merito dell'indicazione chirurgica, che è totalmente insensata in un paziente con quel quadro clinico, ma voglio solo convincerlo che si può ripartire daccapo, iniziando ora il trattamento chemioterapico che avrebbe dovuto fare all'inizio. Non è facile, perchè Ignazio è depresso e sfiduciato, respira a fatica ed il taglio nel torace gli fa molto male. Dopo tre cicli di cisplatino, gemcitabina e navelbina le cose appaiono fortunatamente diverse: alla nuova TAC la malattia si è ridotta moltissimo, e con essa i sintomi che lo tormentavano. Anche il suo morale è molto migliorato, ed accetta un nuovo ricovero di rivalutazione globale, per decidere se sia meglio procedere con la radioterapia a dosi radicali o eseguire un nuovo intervento. Sono molto incerto, perché la probabilità di un'altra esplorazione senza successo è elevata, così come il rischio di complicanze intraoperatorie gravi. D'altra parte, anche la via non chirurgica è problematica, perché il campo da irradiare è molto ampio e comprende gran parte del cuore. Il 20 settembre Ignazio torna in sala operatoria. L'accesso al polmone è difficile, perché il primo intervento ha causato molte fratture costali, in parte scomposte, che si presentano ora come uno scudo osseo invalicabile. Inizio con l'asportazione sistematica dei linfonodi mediastinici, che vengono inviati uno ad uno per l'esame al congelatore, risultando tutti negativi. Verificata la radicalità dei margini, posso procedere con la pneumonectomia, che richiede però il sacrificio del nervo laringeo ricorrente39. Il decorso postoperatorio e soddisfacente, e dopo nove giorni può tornare a casa. Il referto patologico finale mostra una risposta completa alla chemioterapia, e tutti i linfonodi asportati sono negativi. Sono passati ormai dieci anni senza bisogno di altre cure, ma Ignazio non è soddisfatto. La sua voce non è tornata, e rifugge dal contatto con gli altri perché se ne vergogna. Più volte, al telefono, ho cercato di convincerlo che è semplicissimo correggere questo difetto con una piccola plastica della corda vocale, ma lui di medici non ne vuole più sentir parlare.

Iolanda, 54 anni nel 2000 (Bruno Del Monaco)
Iolanda non ha mai fumato, ma da qualche tempo soffre di laringiti ricorrenti ed il suo medico le propone una radiografia del torace. Così scopre di avere un tumore del polmone sinistro. Gli esami di stadiazione sono favorevoli, e la malattia appare in stadio iniziale ed operabile con una lobectomia. Tuttavia, durante l'intervento, l'esame al congelatore dei linfonodi mediastinici, che sono di aspetto normale, rivela la presenza di metastasi in sede sottocarenale. Procedo quindi alla lobectomia già programmata, ad alla dissezione radicale dei linfonodi ilari e mediastinici. L'esame istologico definitivo è ancora più sfavorevole, e mostra un adenocarcinoma con metastasi in cinque diverse stazioni linfonodali. Iolanda viene quindi avviata ad un programma di radioterapia adiuvante sul mediastino, che esegue in un centro vicino a casa. Tutti i controlli sono regolari fino all'aprile 2005 quando improvvisamente comincia ad accusare una forte riduzione del respiro al minimo sforzo. La TAC del torace mostra un cospicuo versamento pleurico a sinistra, ed un modesto versamento pericardico. Quando la visito, due giorni dopo, le sue condizioni respiratorio sono peggiorate, e devo ricoverarla d'urgenza. L'ecocardiogramma40 è normale, e questo esclude che il versamento sia dovuto ad una insufficienza cardiaca. La diagnosi più probabile è quella di una recidiva pleurica, peraltro coerente con la prognosi del precedente tumore. Le spiego che è necessario un piccolo intervento per eliminare completamente il liquido, fare una piccola finestra nel sacco pericardico che elimini la compressione sul cuore, ed ottenere delle biopsie adeguate per scegliere la chemioterapia più efficace. Come previsto, l'intervento ottiene un miglioramento immediato delle condizioni respiratorie di Iolanda. Ma la vera sorpresa è che nessuna delle biopsie, sia nell'esame intraoperatorio che in quello finale, mostra alcuna evidenza di tumore. Quattro anni dopo, Iolanda è completamente guarita, e quella che era apparsa a tutti gli effetti una tipica recidiva di tumore polmonare operato in stadio avanzato, era invece una complicanza infiammatoria tardiva della radioterapia mediastinica.

Manuel, 2 anni nel 1992 (Gianni Berengo Gardin)
Fin dai primi giorni di vita Manuel presenta crisi frequenti di apnea e cianosi, soprattutto dopo i pasti. Nel secondo anno di vita, soffre di ripetuti episodi febbrili per infezione delle vie respiratorie superiori, e nel dicembre del 1991 gli vengono asportate le adenoidi. Tre mesi dopo, viene ricoverato nella clinica pediatrica universitaria per un nuovo, più grave episodio febbrile. La radiografia del torace è dubbia, ma la TAC mostra un tumore all'apice dell'emitorace sinistro, adeso alla colonna vertebrale. Manuel viene trasferito nel reparto di pediatria del nostro Istituto, e qui lo visito il 10 marzo del 1992. Mi preoccupa soprattutto l'immagine della TAC, che mostra una probabile infiltrazione dell'arteria succlavia. Per questo richiedo un'agobiopsia del tumore e suggerisco ai colleghi pediatri un trattamento di chemioterapia preoperatoria. Il prelievo bioptico evidenzia un nucleo di cellule tumorali maligne, non meglio tipizzabili, ma la positività della scintigrafia con MIBG, permette di diagnosticare un neuroblastoma. Manuel inizia la chemioterapia con adriblastina, ciclofosfamide e vincristina, ma la tossicità è subito molto severa. Dopo il terzo ciclo deve essere ricoverato in urgenza nel reparto di malattie infettive pediatriche di Niguarda, per un grave stato settico. In giugno, dimesso da Niguarda, riprende la chemioterapia, e una TAC eseguita dopo il quarto ciclo mostra una buona riduzione del tumore. In novembre, dopo il sesto ciclo, lo ricovero per l'intervento. Al momento dell'esplorazione chirurgica, il tumore è ancora aderente al piano vertebrale, ma è possibile asportarlo radicalmente, insieme alla fascia endotoracica, ai vasi intercostali e al ganglio stellato41. Il mio unico dubbio è a livello dei forami intervertebrali della seconda e terza vertebra, ma l'esame estemporaneo dei margini non rivela la presenza di cellule tumorali maligne. Anche l'esame patologico finale conferma l'ottimo risultato della chemioterapia: nel pezzo è presente solo un ganglioneuroma maturo, senza residui di cellule maligne. In settima giornata, Manuel lascia l'ospedale, e la sua prognosi ora è molto favorevole. I controlli vanno bene, e Manuel cresce in modo regolare. Io non ho più sue notizie perché ora lavoro a Londra, e non tornerò in Istituto per altri dieci anni. Nel 2008, mia madre mi racconta che un tassista l'ha riconosciuta per la somiglianza del volto, e le ha chiesto se per caso fosse una mia parente. Poi le ha raccontato che sedici anni prima avevo operato suo figlio, e mi ha lasciato il suo numero di telefono con la preghiera di essere richiamato. In questo modo ho ripreso i contatti con Manuel, e lui ha voluto condividere con altri la sua storia.

Maurizio, 35 anni nel 2000 (Nicola Vinci)
Da sei mesi Maurizio soffre di una tosse stizzosa, respira a fatica, e ha dolore dietro allo sterno. Le prime radiografie del torace sono negative, poi viene trattato con antibiotici per una presunta pleurite essudativa. Solo nelle ultime settimane, con il peggioramento dei sintomi, viene fatta una TAC del torace ed arriva la diagnosi di cancro del polmone. Quando entra nel mio studio insieme alla moglie, nel febbraio del 2000, sono entrambi terrorizzati. Lui si esprime a fatica, per i sintomi della malattia ma anche per lo stato di disperazione in cui versa, lei più che altro piange e parla del figlio piccolo. Maurizio è stato appena dimesso da un ottimo reparto di chirurgia toracica, con la diagnosi di carcinoma squamoso del polmone destro, inoperabile per infiltrazione diretta del mediastino e metastasi pleuriche. Gli hanno proposto della chemioterapia, con intento palliativo, ma lui non si dà pace e gli sembra impossibile che in pochi mesi la sua vita sia precipitata in questo modo. La valutazione dei colleghi appare logica, coerente, e caratteristica del modo di presentarsi del cancro polmonare nei giovani. C'è solo un problema, manca una prova patologica inequivocabile dello stadio. Infatti, la citologia del liquido pleurico è risultata sempre negativa. Per questo gli propongo il ricovero per un esame endoscopico della pleura o del mediastino. Con la toracoscopia ottengo campioni significativi da sette diversi punti della pleura parietale, e tutti danno lo stesso esito patologico: pachipleurite42 cronica, senza tumore. A questo punto la situazione cambia, e si riapre l'opzione chirurgica. Tre giorni dopo, Maurizio torna in sala operatoria con un programma di exeresi radicale, che prevede l'asportazione di tutto il polmone destro in blocco con la pleura parietale, il pericardio e parte dell'atrio cardiaco. Il referto patologico definitivo conferma la diagnosi di carcinoma squamoso infiltrante la pleura mediastinica e la parete atriale, con metastasi a due linfonodi mediastinici. Maurizio lascia l'ospedale in ottava giornata, per proseguire le cure con la radioterapia precauzionale sul mediastino. Nei mesi che seguono devo ancora occuparmi di lui, non per il tumore ma per gli effetti cronici delle cure. Infatti, soffre di disturbi digestivi dovuti alla migrazione intratoracica dei visceri addominali, che gli provoca talvolta violenti dolori di tipo colico. Nella fase di più intensa crisi, a due anni di distanza dall'intervento, penso addirittura di rioperarlo per correggere il difetto funzionale, ma poi le cose si aggiustano da sole. Oggi Maurizio si sente come uno che è nato una seconda volta, e l'immagine di Nicola Vinci lo rappresenta in modo sublime.

Nunzio, 35 anni nel 2005 (Giovanna Gammarota)
Sono un pò stupito di ricevere una richiesta di aiuto così perentoria da parte un collega che conosco di fama, come un grande personaggio della ricerca oncologica italiana. Riguarda il genero di un suo caro amico, un giovane di 35 anni che è stato dimesso in condizioni definite terminali, dopo qualche mese di cura per un tumore germinale. E' una storia che non mi convince, ma gli chiedo di trasmettermi via fax tutte le informazioni in suo possesso. Leggo le carte e lo richiamo, proponendogli di ricoverarlo subito per una rivalutazione. Nunzio arriva da noi in ambulanza il mattino dopo, ed il medico che lo accetta in reparto viene subito a chiedermi cosa mi propongo di fare con un paziente in quello stato. La diagnosi in entrata è quella di una neoplasia mediastinica in progressione dopo chemioterapia e radioterapia, e candidabile solo a terapia di supporto. La mia ipotesi è invece quella di un paziente in remissione completa ma con gravi complicanze infettive, secondarie ai trattamenti antitumorali. Infatti, nonostante la febbre, lo stato cachettico43 e la grave sindrome mediastinica44, il principale indicatore della malattia, uno specifico marcatore nel sangue, si è completamente negativizzato. Non è la prima volta che mi devo occupare di pazienti come lui, perché l'estrema rarità del tumore germinale extra-gonadico45 non consente alla maggior parte degli oncologi di maturare un'esperienza diretta di questa malattia. Infatti, per chi non lo ha fatto molte volte può essere difficile valutare l'effetto reale della chemioterapia, specialmente se la TAC mostra un aumento delle dimensioni del tumore dovuto alla raccolta di liquido al suo interno, come conseguenza della morte cellulare. Mi servono dieci giorni per completare gli esami e riportarlo nelle condizioni fisiche minime per l'intervento. La notte prima Nunzio scrive una lettera alla figlia di cinque anni, lasciandole una sorta di testamento spirituale, perché sa perfettamente che potrebbe non farcela. L'intervento è molto lungo, perché l'infezione ha colpito in modo molto esteso la parete toracica, ed insieme al tumore mediastinico deve essere asportato anche il polmone destro, la vena cava, parte dello sterno e tutta la pleura parietale. Per ottenere un immediato miglioramento della stasi venosa cronica sostituisco la cava con una protesi di goretex, anche se so che potrebbe non resistere all'infezione. Come ipotizzato, l'esame istologico conferma che la componente maligna della neoplasia germinale è scomparsa, e nel pezzo rimane solo la componente benigna di teratoma maturo, con un'estesa infezione del polmone e del cavo pleurico. Nei due mesi che seguono, devo operare Nunzio altre due volte per un cedimento della sutura bronchiale con re-infezione del torace: la prima volta rimuovo la protesi vascolare e copro la fistola bronchiale con un lembo di diaframma, la seconda volta preparo un lembo peduncolato di omento dall'addome e lo trasporto nel torace per riempire lo spazio vuoto ed eliminare definitivamente l'infezione. Ce l'abbiamo quasi fatta: Nunzio ora sta bene e non ha più febbre, ma resta un buco di due millimetri sul margine del bronco, che comunica con una piccola cavità nel mediastino. Non voglio neanche pensare ad un nuovo intervento, ma si potrebbe tentare di riempire la cavità con un materiale biologico speciale, normalmente utilizzato in minime quantità per altri scopi. Il costo del materiale, alle dosi richieste per il trattamento di Nunzio, è astronomico e non può essere coperto dal servizio sanitario perché al di fuori delle indicazioni normali. Chiedo all'azienda di venirmi incontro, fornendomi gratuitamente il farmaco e studiando insieme a me un nuovo sistema di applicazione endoscopica che si adatti al caso di Nunzio. Dopo un paio di settimane di trattativa, ottengo il via libera dell'azienda. Riusciamo anche a reperire un catetere molto sottile ma abbastanza lungo, per veicolare separatamente attraverso il broncoscopio i due componenti della colla biologica, che devono entrare in contatto solo all'interno della cavità che si deve riempire. L'intervento endoscopico riesce perfettamente, e la fistola non si presenta più. Nel novembre del 2006, Nunzio è in condizioni eccellenti, e l'unica cosa che lo disturba è un laparocele46 dovuto al cedimento della parete addominale dopo il prelievo dell'omento. Non è difficile riparare il difetto, anche questa volta grazie ad una speciale rete biologica, per evitare qualsiasi rischio d'infezione. L'anno scorso Nunzio ha raccontato la sua storia in un'intervista televisiva molto toccante, e ho appreso a distanza di tempo molte cose di cui non mi aveva mai parlato, come la lettera in memoria alla figlia.

Ornella, 55 anni nel 2000 (Gianni Berengo Gardin)
Del caso di Ornella mi parla un'amica, oncologa medica, che la stà trattando con chemioterapia da due mesi. E' una giovane donna che sei anni prima, eseguendo una TAC per un gozzo tiroideo, scopre per caso una massa all'apice del torace ma non esegue altre indagini. Nel maggio del 2000, comincia ad avvertire un senso di oppressione dietro lo sterno, e mancanza del respiro per minimi sforzi. In agosto, la radiografia rivela un opacamento completo del torace a destra, e la risonanza magnetica conferma la presenza di un tumore che partendo dal mediastino occupa totalmente la cavità pleurica, e spinge verso il basso sia il cuore che il fegato. La broncoscopia mostra compressione e rotazione della trachea, il cui lume è ridotto alla metà del normale, ma nessun segno di infiltrazione. L'agoaspirato della massa ottiene la diagnosi di sarcoma a cellule fusate con basso indice proliferativo, forse di tipo sinoviale. Ornella viene giudicata inoperabile, ed inizia il trattamento con epiadriamicina e ifosfamide ad alte dosi. Propongo di completare il quarto ciclo di chemioterapia, e ricoverarla da me per valutare le possibilità chirurgiche. Alla fine della chemioterapia, la TAC non mostra alcuna riduzione del tumore, ma neppure segni di crescita in altri organi. Sono convinto che l'intervento sia possibile, ma pone una serie di problemi tecnici, il primo dei quali sono le dimensioni del tumore in rapporto a quelle dell'ospite. Ornella è piccola e molto magra, e devo studiare una via di accesso che mi consenta di estrarre un tumore che è più grande del suo torace, e nello stesso tempo di rimuovere in blocco polmone destro, pleura parietale, pericardio, vena anonima e tiroide. Il tutto, senza causare danni irreparabili. Scelgo una via anteriore con sternotomia mediana associata ad una sezione del manubrio sternale, che permette di sollevare la clavicola ed aprire completamente lo stretto toracico superiore, senza tagliare nessun muscolo. L'intervento riesce perfettamente, e Ornella viene dimessa in ottava giornata. L'esame istologico cambia la diagnosi iniziale in quella di tumore fibroso solitario del mediastino, associato a carcinoma papillare della tiroide. La querelle diagnostica tra i diversi laboratori continua per un paio di mesi, e solo l'analisi molecolare permette di identificare un trascritto di fusione caratteristico del sarcoma sinoviale. Dal punto di vista pratico non cambia nulla: si tratta di un tumore a lenta crescita, che non richiede alcun trattamento adiuvante, ma solo un'ampia radicalità chirurgica. Ornella da allora è sempre stata bene, e si occupa a tempo pieno dei nipoti che sua figlia Giada, nel frattempo, le ha donato.

Paola, 36 anni nel 2000 (Nino Migliori)
Quando Paola entra nel mio studio la prima volta, nel febbraio del 2000, resto subito colpito dalla sua personalità: è alta, bella, con un carattere solare ed estroverso. L'accompagnano il padre e la madre, che sono molto più preoccupati di lei. Ha appena scoperto di avere un tumore mediastinico con una radiografia del torace, eseguita per un banale sanguinamento dal naso. Non faccio fatica a tranquillizzarla, il timoma è un tumore curabilissimo, e nel suo caso l'intervento non sarà neppure molto complesso. L'unico problema per lei sarà la cicatrice della sternotomia, che per una donna giovane può essere piuttosto sgradevole. La opero la settimana successiva, e in sesta giornata lascia l'ospedale. Nessuna sorpresa dall'esame istologico, ma il tumore infiltra il grasso mediastinico e la parte di polmone che ho asportato insieme al timo, ed è quindi necessaria una radioterapia precauzionale sul mediastino. Paola sta molto bene fino all'agosto del 2001, quando compare un neo sulla spalla sinistra, che si rivela un melanoma maligno in quarto stadio. Il linfonodo sentinella47 è positivo, e devono asportare tutti i linfonodi dell'ascella, che sono però negativi. Dopo neppure un anno, la TAC di controllo rivela un nodulo di tre centimetri sul diaframma sinistro, che è positivo alla PET. Tutta la famiglia, tranne Paola, è in preda alla disperazione, quando spiego loro che le metastasi pleuriche sono una normale evoluzione del timoma maligno, anche se operato radicalmente. Possono presentarsi anche dopo dieci anni, e di solito guariscono con un'asportazione completa. Nel suo caso, è necessario asportare una porzione di diaframma insieme alla pleura parietale, ma la radicalità è soddisfacente. Passano quattro anni senza problemi, ma nel luglio del 2006 la TAC mostra due nuove lesioni, vicine alla precedente resezione diaframmatica, e la PET è positiva solo lì. Per fortuna li avevo preparati da tempo a questa possibilità, e la notizia viene accettata senza drammi. Paola affronta con molta serenità il quarto intervento sul torace, sempre a sinistra ma questa volta con accesso posteriore, vicino alla colonna. Insieme al tumore, devo rimuovere il tratto posteriore di due coste ed il pilastro diaframmatico, ma in sei giorni è a casa. Anche se l'esame istologico non mostra invasione dei margini, consiglio di utilizzare ancora la radioterapia, ma con una tecnica non convenzionale, per evitare problemi di sovradose in un campo già irradiato. La mando a Firenze dal professor Casamassima, che da anni utilizza la radioterapia stereotassica, e in tre giorni completa la radioterapia con dosi radicali. Da allora Paola sta bene, e in questi dieci anni ha sempre lavorato con lo stesso entusiasmo di prima della malattia.

Paola, 42 anni nel 1999 (Giovanna Gammarota)
Paola non ha mai fumato, ma da molti anni soffre di una tosse stizzosa, che non smette mai. La trattano per asma bronchiale, fino a quando una radiografia mostra un'immagine sospetta nel polmone destro. La diagnosi fatale arriva nel dicembre 1999: microcitoma polmonare con adenopatie mediastiniche e probabili metastasi epatiche. Si sottopone a chemioterapia con cisplatino ed etoposide, ma dopo tre cicli la TAC non mostra alcun miglioramento. Allora inizia la radioterapia radicale: sei settimane di trattamento per raggiungere la dose massimale. Altra TAC e stesso risultato: la malattia non risponde alle cure. Viene valutata in un importante reparto di chirurgia toracica, dove riceve la sentenza finale: il tumore non è resecabile perché infiltra le strutture mediastiniche, e comunque dopo la radioterapia a quelle dosi, un tentativo di chirurgia avrebbe un rischio altissimo di complicanze mortali. Le viene suggerito un trattamento medico a scopo palliativo. Nel novembre del 2000, viene a sentire il mio parere con il marito, consigliata da colleghi che mi conoscono. Ha un viso molto bello, ma lo sguardo è allucinato, e non riesce a stare ferma un secondo. Ha smesso da tempo la chemioterapia e le sue condizioni fisiche sono buone, a parte la tosse continua. Sembra la copia conforme della storia di Carlo, con qualche anno di differenza. Quando dico loro che penso ad un errore diagnostico, non mi credono. Devo faticare molto per convincerli che non hanno nulla da perdere a percorrere la strada che io propongo, e che mi basteranno pochi giorni per confermare o rifiutare l'ipotesi che si tratti di un carcinoide e non di un microcitoma. Si prendono un po' di tempo per decidere, ma poi accettano il ricovero, dopo le feste di Natale. Paola ha una buona funzione respiratoria e cardiaca, e anche se la neoplasia raggiunge i sette centimetri di diametro, non vi sono segni inequivocabili che non sia operabile. Per non sacrificare tutto il polmone destro devo impiegare una tecnica complessa, che prevede il reimpianto del lobo inferiore sulla trachea e una ricostruzione plastica dell'arteria polmonare, che è infiltrata per un lungo tratto. Anche il sacco pericardico deve essere asportato e ricostruito con una protesi. Salvo una modesta anemizzazione, il decorso è regolare e può lasciare l'ospedale in nona giornata. La diagnosi finale è di carcinoide atipico, con metastasi in quindici linfonodi ilari e mediastinici su 18 asportati. Per un sacco di tempo Paola non crede di essere guarita, ed attende ogni controllo trimestrale con lo spirito di un condannato a morte. Sei anni dopo l'intervento, la TAC rivela un piccolo nodulo nell'altro polmone. Non è francamente sospetto, e decido di tenerlo in controllo ogni tre mesi. Nel corso di due anni, cresce in modo lento ma costante, e alla fine anche la PET è positiva. Nel febbraio del 2009, decidiamo insieme di toglierlo, sacrificando un segmento del lobo superiore sinistro. In maniera speculare rispetto al polmone destro, il referto istologico descrive un carcinoide atipico di un centimetro, con indice di prolifefazione molto basso, ma metastatico ad uno dei infonodi asportati. E’ nei casi clinici inusuali, e nelle malattie più rare come questa, che può emergere pienamente il valore della conoscenza medica e la sua sfida continua contro la morte.

Pinky, 70 anni nel 1998 (Oliviero Toscani)
La baronessa Pinky è una bella signora di 70 anni, da sempre amica dell'amministratore dell'Istituto, che mi parla del suo problema con sincera emozione. L'anno precedente, Pinky ha subito un intervento di isterectomia per un carcinoma della cervice, ma da più di un mese ha una tosse continua, e un forte dolore al torace. Come tutti i fumatori cronici, ha sempre avuto qualche problema con il respiro, ma questa volta si rende conto immediatamente che la cosa è più seria. Mi porta una TAC del torace, che mostra una lesione solida all'apice destro. In più c'è un sospetto di interessamento di una vertebra, che giustificherebbe il suo dolore. Le spiego che potrebbe trattarsi di una ripresa della neoplasia precedente, ma io penso più probabile un nuovo tumore del polmone, ed è necessario fare altri esami per capire se è operabile. Nel febbraio del 1998, alla fine di tutti gli esami, c'è ancora qualche incertezza nella diagnosi, ma l'intervento è tecnicamente fattibile e insieme decidiamo che vale la pena di provarci. Pinky supera molto bene l'operazione, e l'esame del pezzo conferma trattarsi di un tumore primitivo del polmone in stadio iniziale. Il passare del tempo, con i controlli sempre negativi, allontanano la paura delle metastasi, e quando due anni dopo durante la visita periodica le scopro un nodulo al seno Pinky non si scompone minimamente. Sa che anche questo piccolo carcinoma della mammella è risolvibile con una semplice quadrantectomia48. Ora, ci incontriamo solo socialmente, quando invita mia figlia a giocare con i suoi nipoti nella villa sul mare in Maremma, o nello splendido parco della sua casa in Brianza. A ottant'anni ha deciso che poteva permettersi di riprendere a fumare, forse perchè in tutta la sua vita non si è mai preoccupata di poter dare un cattivo esempio.

Romina, 7 anni nel 1986 (Ferdinando Cioffi)
Nel mese di giugno Romina comincia ad avvertire un dolore al lato destro della mandibola, e dopo un paio di settimane si accorge della tumefazione al volto, in corrispondenza dello zigomo. Si ricovera in un reparto di chirurgia pediatrica dove esegue una TAC, che mostra una neoplasia infiltrante il massiccio facciale49, e viene subito trasferita nel nostro Istituto. La pediatra che la visita, descrive una estesa neoplasia del seno mascellare destro, che le deforma in modo significativo il volto. Potrebbe trattarsi di un linfoma, ma la diagnosi più probabile è di rabdomiosarcoma50. Gli esami successivi rilevano anche una metastasi polmonare, e la biopsia chirurgica del tumore conferma la diagnosi di rabdomiosarcoma embrionale. Il 25 luglio, Romina inizia la chemioterapia con ciclofosfamide ad alte dosi, per proseguire poi con cisplatino, metotrexate e vincristina. In ottobre, la malattia è in remissione anche a livello polmonare, e si procede quindi con il trapianto di midollo, per finire con l'irradiazione corporea totale e una sovradose sulla sede primitiva del tumore. E' un trattamento molto impegnativo, con effetti collaterali di ogni tipo, ma Romina lo sopporta con grande coraggio e determinazione. Nella primavera del 1987 sta bene, e può riprendere a frequentare la scuola, ma in giugno le radiografie di controllo mostrano una ricrescita della metastasi polmonare, che ora misura più di tre centimetri. Non è certo una buona notizia, e bisogna riprendere subito la chemioterapia, questa volta con ifosfamide ad alte dosi, cisplatino e metotrexate. La malattia sembra rispondere al trattamento, ma i margini di tollerabilità sono scarsi, perchè il midollo osseo è stato troppo danneggiato dai farmaci. In novembre ricovero Romina per valutare un'eventuale resezione chirurgica. Le possibilità di successo di un intervento in questo tipo di tumore sono scarsissime, e non sono sicuro che valga la pena di sottoporre questa bambina ad altre sofferenze. Ma mi viene in aiuto il consiglio dell'amico Gerry Rosen, grande oncologo del Cedar Sinai Hospital di Los Angeles, l'uomo che ha inventato il trattamento con ifosfamide ad alte dosi nei sarcomi delle parti molli51, e che da sempre sostiene i miei programmi di chirurgia di salvataggio. I genitori, naturalmente, sono d'accordo, e anche Romina non ha esitazioni. Il 18 novembre eseguo l'intervento esplorativo di sternotomia mediana. Fortunatamente il polmone sinistro è indenne, ma per asportare la lesione più grande a destra è necessario eseguire una lobectomia radicale. Le altre metastasi possono essere poi rimosse senza grandi sacrifici di tessuto polmonare. Romina lascia l'ospedale in sesta giornata, in ottima forma. In dicembre riprende la chemioterapia precauzionale con ifosfamide ad alte dosi, che concluderà definitivamente, dopo qualche periodo di interruzione, nel settembre del 1998. Rivederla dopo più di vent'anni è stata una fortissima emozione per tutti e due, e sono felice che abbia deciso di partecipare a questo progetto e offrire la sua storia come conforto per tanti altri malati.
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